martedì 4 dicembre 2012

LA FILOSOFIA DELLA VOLONTA' E DELL'ANGOSCIA

L’ Idealismo parte dal pensiero universale dal quale fa discendere la natura e l’uomo. Da questa concezione si dissocia tra la fine del XVIII Sec. e l’inizio del XIX Sec. Un movimento di reazione che volle fare un passo indietro riallacciandosi al rigore del sistema kantiano.

SCHOPENHAUER

La filosofia di Schopenhauer è molto articolata. Sostenitore di Kant, irride all’Idealismo definendolo “Filosofia delle Università”. Nella sua opera giovanile  Il mondo come volontà e rappresentazione - che contiene già gran parte del suo pensiero -Schopenhauer sostiene che il mondo è fondamentalmente ciò che ciascun uomo vede ("relativismo") tramite la sua volontà. La sua analisi pessimistica lo porta alla conclusione che i desideri emotivi, fisici e sessuali, che presto perdono ogni piacere dopo essere stati assecondati, ed infine divengono insufficienti per una piena felicità, non potranno mai essere pienamente soddisfatti e quindi andrebbero limitati, se si vuole vivere sereni. La condizione umana è completamente insoddisfacente, in ultima analisi, e quindi estremamente dolorosa. Di conseguenza, egli ritiene che uno stile di vita che nega i desideri, simile agli insegnamenti ascetici dei Vedanta e delle Upanishad dell'induismo, del Buddhismo delle origini, e dei Padri della Chiesa del primo Cristianesimo, nonché una morale della compassione, sia l'unico vero modo, anche se difficile per lo stesso filosofo, per raggiungere la liberazione definitiva, in questa vita o nelle successive.
Sull'esistenza di Dio, Schopenhauer è invece ateo, almeno per quanto riguarda la concezione occidentale moderna. La vita è un inferno in cui gli uomini sono al contempo anime dannate e diavoli. Questo a causa dell’egoismo che abita in ognuno di noi: i demoni si potrebbero identificare con i grandi cattivi della storia, ma si sa anche che i malvagi sono spesso i più insospettabili perché i più subdoli. Ciascuno di noi, in fondo, è segretamente malvagio quando, dentro di sè, augura ogni sciagura possibile al proprio prossimo o gioisce delle disgrazie altrui. Tutto è dunque mistificazione, impostura, non certo dono. Chi tematizza la vita come dono non sottolinea mai come, con la vita, si donino per forza di cose anche malattia e morte. Qui appare la dimensione gnostica di Schopenhauer, ovvero il concepire l’intero mondo come prigione, inferno, in modo analogo agli Esistenzialisti, che parlano di un “essere gettati nell’esistenza senza mai averlo chiesto ed esserne prigionieri”. Nel filosofo matura la convinzione che sarebbe meglio se uomo e mondo non ci fossero; l’errore fondamentale è il volere. «Il mondo ha creato Dio, e non viceversa». La religione è totale illusione, solo la filosofia è verità. I filosofi non devono adattare il loro pensiero alle dottrine religiose: solo i filosofastri lo fanno. Costoro propongono al pubblico intellettuale ciò che vuole sentire, ciò che fa comodo, è consolante, rassicurante. Un filosofastro è, chiaramente, Hegel, che presenta il mondo come progressivo processo verso l’assoluto, la salvezza.

KIERKEGAARD

Per Kierkegaard non vi può essere un metodo universale di conoscenza: unica e vera conoscenza è la conoscenza individuale, quella che ognuno ha vissuto e vive , per cui l’uomo deve costruirsi da solo la propria regola di vita, deve ottenere da solo la propria salvezza. Infatti, non c’è un sistema per risolvere le antitesi che si presentano nettamente fra i vari stadi o tipi di individualità. Le alternatività, ossia gli aut-aut, cioè le realtà inconciliabili che lo spirito vive drammaticamente sono quattro : la individualità e la totalità dell’esistenza: il tempo e l’eternità, il reale e l’ideale; la natura e Dio. Dalla loro inconciliabilità e dalla inutilità della scelta fra i due termini deriva la tesione e l’angoscia che domina la nostra esistenza ("Aut-Aut").
L'unico esito positivo che angoscia e disperazione possono avere è la fede. L'impossibilità dell'io, che porta alla disperazione, e la possibilità del nulla, che porta all'angoscia, hanno come unica soluzione l'aggrapparsi dell'uomo all'unica possibilità infinitamente positiva, cioè Dio ("Timore e tremore"). Così l'uomo pur rimanendo fedele al proprio compito di essere se stesso riconosce la sua insufficienza ma non la vive come un peso ma come l'effetto di dipendenza da Dio. Il credente viene rassicurato dal fatto che il possibile non è compito suo ma è nelle mani di Dio. Il passaggio alla fede non è un progresso graduale, ma un salto senza mediazioni nell'irrazionale - poiché la fede esula dalle spiegazioni razionali - che l'uomo nella sua esistenza decide di compiere abbandonandosi così in un rapporto in cui è solo con Dio. Accedendo alla fede il credente decide di abbandonare ogni comprensione razionale accettando anche l'"assurdo". Questo è il "paradosso della fede", la quale è vera proprio perché supera la comprensibilità umana. Quindi nemmeno la fede può assicurare certezza e riposo, poiché è assurdità. Per la ragione, infatti, è qualcosa di paradossale e scandaloso la fede in un Uomo che è insieme Dio, in un individuo storico che è insieme metastorico. Impensabile, razionalmente, è anche l'intimo rapporto fra Dio e l'uomo. Infatti Dio è trascendenza, «infinita differenza qualitativa», e ciò implica una distanza incolmabile fra Lui e l'uomo, distanza che sembra escludere qualsiasi familiarità. L'irruzione dell'uomo, essere finito e temporale, nell'elemento dell'eternità e dell'infinito è la fede, mentre l'irruzione dell'eternità nel tempo è l'"attimo" in cui Dio si rivela all'uomo, in cui l'infinito si manifesta al finito. Nel pensiero di Kierkegaard, che rappresenta la rivincita della religione contro la filosofia, della fede contro la ragione, sembra di riascoltare l’affermazione del teologo africano Tertulliano del II secolo d.C., al quale è attribuita la frase "credo quia absurdum" ("credo perché è assurdo"). Secondo questo paradosso, scaturito da un fideismo antintellettualistico, i dogmi della religione vanno difesi con convinzione tanto maggiore, quanto minore è la loro compatibilità con la ragione umana. Poiché la fede è irrazionale, Kierkegaard critica la concezione hegeliana o quella propria anche della chiesa luterana moderna, che cercano di conciliare ragione e fede. Secondo Kierkegaard, la teologia scientifica pretende infatti di spiegare l'inesplicabile. Inoltre, Kierkegaard criticò la chiesa danese che insisteva sull'osservanza delle regole esteriori. A suo giudizio, la vera religione è quella fondata sul rapporto diretto e interiore fra uomo e Dio. La paradossalità della fede, la rinuncia all'uso dell'analisi razionale, qualificano la filosofia di Kierkegaard come irrazionalista, e ad essa guarderanno con interesse diverse tendenze del pensiero del Novecento, come, per esempio, l’Esistenzialismo.

NIETZSCHE

L'uomo ha dovuto illudersi per dare un senso all'esistenza (si pensi anche a Freud), in quanto ha avuto paura della verità, non essendo stato capace di accettare l'idea che "la vita non ha alcun senso", che non c'è nessun "oltre" dopo di essa (nichilismo) e che va vissuta con desiderio e libero abbandono pieno di "fisicità" ("La nascita della tragedia"). Se il mondo avesse un senso e se fosse costruito secondo criteri di razionalità, di giustizia e di bellezza, l'uomo non avrebbe bisogno di autoilludersi per sopravvivere, costruendo metafisiche, religioni e morali. L'umanità occidentale, passata attraverso il cristianesimo, percepisce ora un senso di vuoto, trova che "Dio è morto", cioè che ogni costruzione metafisica vien meno davanti alla scoperta che il mondo è un caos irrazionale. Fino a che non sorgerà l'Oltreuomo, cioè un uomo in grado di sopportare l'idea secondo cui l'Universo non ha un senso, l'umanità continuerà a cercare dei valori assoluti che possano rimpiazzare il vecchio dio (inteso come qualsiasi tipo di realtà ultraterrena e non come semplice entità quale potrebbe essere il Dio cristiano); dei sostituti idolatrici quali, ad esempio, lo Stato, la scienza, il denaro, ecc. La mancanza, però, di un senso metafisico della vita e dell'universo fa rimanere l'uomo nel nichilismo passivo, o disperazione nichilista. È tuttavia possibile uscire dal nichilismo superando questa visione e riconoscendo che è l'uomo stesso la sorgente di tutti i valori e delle virtù della volontà di potenza (nichilismo attivo). L'uomo, ergendosi al di sopra del caos della vita, può generare propri significati e imporre la propria volontà. Chi riesce a compiere questa impresa è l'Oltreuomo, cioè l'uomo che ha compreso che è lui stesso a dare significato alla vita. Attraverso le tre metamorfosi dello spirito, di cui parla nel primo discorso del testo Così parlò Zarathustra, Nietzsche mostra come il motto "Tu devi" vada trasformato dapprima nell' "Io voglio", ed infine in un sacro "Dire di sì", espresso dalla figura del fanciullo giocondo. Ovviamente il nichilismo attivo non giustifica i modelli valoriali proposti nel corso dei secoli per dare senso alla realtà, poiché questi non sono altro che il frutto dello spirito apollineo e, pertanto, non corrispondono all'effettiva essenza dell'uomo, che è dionisiaco, ossia legato inscindibilmente a quei "valori" (vitalità, potenza) intrinseci alla sua natura terrena:







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