lunedì 3 dicembre 2012

L' ILLUMINISMO


Nella seconda metà del Settecento vari indirizzi filosofici trovarono un comune clima di indagine che prese il nome di Illuminismo. Non si trattò di una scuola, ma di un vasto movimento di pensiero che si proponeva la revisione della civiltà e delle istituzioni umane al lume di quella ragione che aveva trionfato nelle filosofie precedenti. L’ illuminismo assunse caratteri diversi nelle diverse nazioni in cui si sviluppò, a seconda del problema che si proponeva di risolvere. In Inghilterra prese un indirizzo etico-sociale-religioso; in Francia si connotò di motivi naturalistici, poiché cercò nella natura le leggi dell’uomo e della società; in Germania si risolse prevalentemente in un deismo razionale, volto alla continua ricerca della volontà divina; in Italia affrontò soprattutto i problemi sociali. In linea generale, l’illuminismo affermò, nel campo morale, l’autonomia dell’uomo, siccome dotato di leggi etiche naturali le quali gli permettono di dirigere la propria azione senza bisogno di verità dogmatiche impostegli dallo Stato o dalla Religione; nel campo politico, il diritto degli uomini a governarsi, con il rifiuto di ogni forma di governo che non sia voluto e riconosciuto dal popolo ed indipendentemente da ogni investitura divina; nel campo religioso, il diretto e naturale rapporto dell’uomo con la divinità, al di fuori di ogni tradizione, di ogni mito e di ogni rito; in tutti i campi, la legge naturale come legge fondamentale.

BENTHAM

In Inghilterra il problema morale divenne il problema per eccellenza, ma, anziché dar vita alla costruzione di complessi sistemi, fu mantenuto sul piano utilitaristico e delle soluzioni pratiche, quale la ricerca di norme di vita. Per Bentham tutto quello che l’uomo fa ha per scopo principale un utile, ma poiché il vero utile è l’utile universale, in definitiva l’uomo tende naturalmente verso l’utile universale, cioè verso il bene comune.
Bentham fu uno dei più importanti utilitaristi, in parte tramite le sue opere, ma in particolare tramite i suoi studenti sparsi per il mondo. Tra questi figurano il suo segretario e collaboratore James Mill e suo figlio John Stuart Mill, oltre a vari politici (Robert Owen, che divenne poi uno dei fondatori del socialismo).
Argomentò a favore della libertà personale ed economica, della separazione di stato e chiesa, della libertà di parola, della parità di diritti per le donne, dei diritti degli animali, della fine della schiavitù, dell'abolizione di punizioni fisiche, del diritto al divorzio, del libero commercio, della difesa dell'usura e della depenalizzazione della sodomia. Fu a favore delle tasse di successione, delle restrizioni sul monopolio, delle pensioni e assicurazioni sulla salute. Ideò e promosse un nuovo tipo di prigione, chiamò Panopticon ("Introduzione ai principi della morale e della legislazione").
Morendo nel 1832 non lasciò solo il retaggio della sua dottrina morale e politica, ma anche quello di un'istituzione nuova in Inghilterra, l'Università di Londra, distinta dalle tradizionali università inglesi di Oxford e Cambridge per il suo carattere rigorosamente laico e subito tacciata dagli avversari come «l'Università senza Dio».

ROUSSEAU

La corrente etico-sociale francese considerò la civiltà come produttrice di un sostanziale aumento dei bisogni materiali e, quindi, come causa di corruzione dello stato di natura innocente. Per Rousseau l’unico rimedio a questo processo involutivo consiste nel ritorno alla natura ed alle sue armoniche leggi, che rappresenta la vera perfezione che l’uomo può raggiungere. Naturalmente un tale ritorno non deve distruggere quel che di positivo si trova nella civiltà, ma piuttosto deve ricostituire nell’uomo civile l’uomo primitivo.
Secondo Rousseau l’insegnamento religioso può cominciare solo in età adolescenziale. Nell’ "Emilio" egli sviluppa l’idea religiosa fondata sulla coscienza, che chiama istinto divino, e sull’intima esperienza personale. Anche la ragione deve essere fondata sul sentimento del cuore, da cui prende corpo la critica alle autorità religiose e alle religioni positive. Per Rousseau, infatti, la religione naturale non implica verità rivelate.
Secondo il filosofo svizzero lo spirito religioso si sviluppa naturalmente e intimamente nell’uomo, svelandosi nella sua semplicità, libero da tutte le imposizioni culturali.
Tuttavia nel "Contratto sociale", Rousseau afferma che per il benessere e la coesione dello Stato e di tutto il corpo sociale, sia necessaria una religione che preveda la fede in un unico Dio, nella vita eterna e nella remissione dei peccati.
Egli ritiene che lo Stato abbia il diritto di punire, in alcuni casi addirittura con la morte, tutti coloro che non si adeguano alla confessione religiosa prevista, risultando in questo modo addirittura uno dei massimi teorici dell'intolleranza religiosa.
Dunque Rousseau recepisce la religione nella sua dimensione naturale e civile. Egli infatti propone una netta separazione tra il messaggio verace della religione cristiana e il suo totale appiattimento in sede vaticana. Oltre a Voltaire, anche il pensatore Ginevrino è stato capace di scardinare tutto l'apparato dottrinario impregnante l'edificio del dogma cristiano, spogliandolo di tutti i suoi cavilli. Egli scopre l'esigenza innata e insopprimibile di ciascun credente di sentire nel più profondo di sé certe vibrazioni superiori. In definitiva, la più grande scommessa vinta da Rousseau è senza dubbio quella di averci proposto una "religione laica". Insomma, in ambito religioso Rousseau è illuminista e, insieme, preromantico: a suo avviso, infatti, nella religione la ragione coopera col sentimento e con l’istinto senza escluderli, illuminando piuttosto ciò che essi manifestano. Si tratta di una luce interiore che non ha il compito di disfarsi astrattamente di sentimenti e di passioni, ma di indirizzarli a quell’equilibrio naturale che la civiltà ha compromesso. Secondo Rousseau, la natura dell’uomo è fondamentalmente buona e ha in sé l’amore verso se stessi e la pietà verso gli altri: tale natura originaria dev’essere riscoperta al di là delle sovrastrutture sociali, culturali, e politiche che l’uomo ha creato nel corso della storia. È questa l’idea (centrale in Rousseau) del ritorno alla natura e alla sua religione pura, che è stata poi occultata dai dogmi, dalle superstizioni, dalle astrattezze teologiche. Si tratta allora di eliminare i libri e di non ascoltare più gli uomini che pretendono di rappresentare Dio: l’unico libro che rappresenta “l’essere degli esseri” (così Rousseau definisce Dio) è il libro del sentimento scaturente dal contatto con la natura. Solo da questo libro si apprendono i veri e unici dogmi, quelli della religione naturale: tali dogmi sono due, a) l’esistenza di Dio, b) la libertà spirituale dell’anima e, dunque, la sua immortalità. Tutto ciò che la religione positiva ha costruito sopra questi due dogmi sono indebite aggiunte che coprono la verità con veli più o meno oscuri. Nel Contratto sociale, poi, questi due dogmi fondamentali della religione naturale vengono declinati come articoli di un “credo civile”.
Nella “Professione di fede del vicario savoiardo” il sentimento del sacro così viene vissuto nella coscienza di Rousseau: egli avverte che il mondo è retto da una volontà ordinatrice, potente, buona, intelligente, la quale però si sottrae ai sensi e all’intelletto dell’uomo; a tal punto che più si pensa a Dio e più ci si confonde. Da questa constatazione trae origine la preghiera che Rousseau rivolge alla divinità: “quanto meno la capisco, tanto più la adoro”. In questa prospettiva, l’uso più degno della ragione è di annichilirla dinanzi alla grandezza di Dio, col quale Rousseau intrattiene un rapporto intimo: ma sotto questa carica di sentimenti permane il filosofo, giacché si tratta di sfogo umano più che di certezza. In altri termini, si ha una religione depotenziata, nella quale il sentimento e la ragione si confondono e si mescolano.

LESSING

Il primo Illuminismo germanico, sotto la influenza di Leibniz, fu caratterizzato da concezioni deterministiche che si risolsero in un deismo inteso a chiarire la possibilità di una conoscenza stabilita dalla volontà di Dio.
Come rappresentante di spicco dell'Illuminismo tedesco Lessing viene considerato un precoce pensatore della presa di coscienza della classe borghese della sua identità e forza sociale. Tema ricorrente nel pensiero di Lessing è quello che la ricerca è superiore al possesso della verità: « Se Dio tenesse nella sua destra tutta la verità e nella sua sinistra il solo tendere alla verità con la condizione di errare eternamente smarrito e mi dicesse "Scegli", io mi precipiterei con umiltà alla sua sinistra e direi: Padre, ho scelto; la pura verità è soltanto per te » ("Una replica"). È questa una tipica posizione illuministica antidogmatica, secondo la quale ogni conoscenza acquisita deve essere aperta alle correzioni e ai contributi che vengono dalle nuove esperienze, così che la conoscenza autentica non è quella di chi difende le posizioni raggiunte ma quella di chi si espone alla ricerca rischiosa di nuovi risultati:
« Da un giudice non si può pretendere altro che egli si schieri con quella parte che sembra avere il maggiore diritto. Se si comporta diversamente, allora è chiaro che egli stravolge la verità a proprio tornaconto e la vuole rinchiudere negli angusti limiti della propria pretesa infallibilità » ("Riabilitazione di G. Cardano").
Questa sua concezione della filosofia rende il pensiero di Lessing non sistematico, ma costituito da interventi diversificati, spesso polemici, su tutti i temi della cultura tedesca della sua epoca.
Per la concezione della religione, Lessing in un primo tempo sostenne una visione razionalistica per cui la religione rivelata deve confermare le verità della religione naturale. In un secondo momento Lessing sembra adeguarsi a una concezione più vicina all'ortodossia ma in realtà egli assume una posizione di negazione della religione. I deisti, afferma Lessing, criticano le religioni positive in nome di una religione naturale costituita essenzialmente da regole etiche, ma così facendo essi sostituiscono ai valori assoluti delle religioni rivelate quelli, altrettanto assoluti, della religione razionale. Egli invece vuole dare un fondamento storico alle religioni positive che si estende anche alla religione naturale. Nell' Educazione del genere umano Lessing ritiene che le varie religioni che si sono costituite nel corso della storia non siano nient'altro che le espressioni di un patrimonio di verità che l'uomo ha progressivamente per suo conto scoperto nella sua storia. Ogni religione quindi risente delle circostanze storiche in cui è nata e il suo valore è relativo alla situazione storica che l'ha determinata. La rivelazione delle religioni positive ha un compito pedagogico primario: educare l'uomo a quelle verità che poi sarà in grado di capire razionalmente da solo.

KANT

Ma l’ ”Età dei lumi” negli ultimi decenni del Settecento è dominata in Germania dalla figura di Emanuele Kant, tedesco di padre scozzese, la cui filosofia appare come la revisione conclusiva di un secolo e mezzo di pensiero moderno e la riduzione a grande sistema delle sue risultanti. Per il pensiero moderno Kant è stato quello che per il pensiero greco fu Aristotele e per la speculazione scolastica fu S.Tommaso. Per Kant due sono le fonti della conoscenza : l’intuizione, con la quale la sensibilità ci dà il contenuto, ed il concetto, con il quale questo contenuto viene coordinato dall’intelletto. Le intuizioni ed i concetti possono essere puri o aprioristici (cioè rappresentano pure forme della sensibilità o dell’intelletto) o empirici (cioè corrispondono ad un mero dato sperimentale). Intuizioni pure o aprioristiche sono lo spazio ed il tempo : ciò significa che ogni sensazione per giungere a noi deve assumere un forma spaziale o temporale; spaziale se si tratta di una sensazione esterna, temporale se si tratta di una sensazione interna; infatti, lo spazio è la forma del mondo esterno, il tempo quella del mondo interno (“Critica della ragion pura”).
Ma l’uomo, oltre a conoscere, agisce e deve dare alla sua azione un valore morale. La moralità, in Kant, è fondata sopra un elemento a priori, che è proprio della nostra ragione : l’imperativo categorico (imperativo perché si presenta sotto forma di legge, categorico perché è incondizionato), che così si formula : “Opera in modo che la massima della tua condotta possa valere come norma di una legislazione universale”. Il che significa che in ogni contingenza noi dobbiamo avvertire l’intimo comando di comportarci in modo da poter dire : “Chiunque in un caso come questo deve comportarsi in questo modo”. Emerge, allora, nel campo dell’agire un valore che non esiste nel campo del conoscere; questo valore è la necessità del dovere ( “Critica della ragion pratica”).
Infine, Kant osserva che l’uomo è portato a giudicare, in quanto soltanto attraverso il giudizio egli può stabilire un intimo rapporto con la natura. Quando noi giudichiamo non facciamo che subor-dinare un particolare ad un universale. Ora, se diciamo “La rosa è un fiore” noi subordiniamo il particolare sensibile “rosa” all’universale sensibile “fiore”. Ma se diciamo “La rosa è bella” al particolare sensibile “rosa” non corrisponde un altro universale sensibile perché l’idea della bellezza non la fa conoscere l’esperienza. Nel primo caso si ha allora un giudizio determinativo, il quale mi dà la conoscenza di qualche cosa, nel secondo caso si ha un giudizio riflessivo che non mi dà alcuna conoscenza perché l’universale in esso contenuto non è un dato dell’ esperienza. Il giudizio riflessivo mi porta invece ad una riflessione, cioè a stabilire un rapporto fra me e l’oggetto e questa riflessione può assumere due forme : quella teleologica, se il giudizio riconosce una finalità nell’oggetto considerato; quella estetica, se riconosce un finalità nel soggetto che giudica. Ma il giudizio teleologico è illusorio, perché esso vorrebbe avere valore oggettivo, mentre il valore del giudizio è di per sé soggettivo. Il vero giudizio riflessivo rimane dunque quello estetico, di cui è riconosciuta la natura soggettiva (“Critica del giudizio”).
La Critica della ragion pratica si concludeva stabilendo la necessità di porre come guida dell'azione morale tre postulati, tra cui quello dell'esistenza di Dio. Questa affermazione comportava la risoluzione dell'etica in una religione, sia pure fondata sulla ragione, lasciando tuttavia irrisolto il problema della salvezza: « Ogni interesse della mia ragione (tanto quello speculativo quanto quello pratico) si concentra nelle tre domande seguenti: "Che cosa posso sapere?", "Che cosa devo fare?", "Che cosa ho diritto di sperare? ». La terza domanda apre la via al problema religioso mentre la risposta viene data dalla ragion pratica che mi dice che: «se io faccio quello che debbo fare, posso a buon diritto sperare che Dio ricompensi la mia vita virtuosa con il premio della felicità".
Fra religione e morale vi è quindi un'intima compenetrazione tale che il comportamento morale assume un aspetto religioso, non perché l'uomo morale faccia riferimento a un sistema di regole, di comandamenti che provengano dall'esterno a lui e neppure perché spinto da motivi che motivino ulteriormente il suo agire morale per il timore di un castigo divino o la speranza di un premio, ma perché vi è coscienza che esiste un perfetto accordo tra imperativo categorico e volontà di Dio che non potrà, come giudice giusto, far altro che premiarmi per il mio comportamento buono.
Dunque, la religione secondo Kant non è altro che «la conoscenza di tutti i doveri come i comandamenti divini...con la speranza di partecipare un giorno alla felicità nella misura in cui avremo procurato di non esserne indegni". La religione coincidente con l'etica si presenta come assolutamente razionale: non vi sarà bisogno né di dogmi, né di sacerdoti che li custodiscano, né di culti, né di chiese dove praticarli. Tutti coloro che si sottopongono alla morale autonoma degli imperativi categorici saranno i membri di una società spirituale che dà vita alla chiesa invisibile degli uomini di buona volontà. « La religione in cui io devo, prima, sapere che qualche cosa è un comando divino, per riconoscerla poi come mio dovere, è la religione rivelata (o che esige una rivelazione): quella, invece, in cui io devo sapere che qualche cosa è un dovere prima che la possa riconoscere come un comando divino, è la religione naturale » ("La religione entro i limiti della semplice ragione").
Per Kant anche il cristianesimo è una vera e propria religione naturale come, ad esempio, dimostra il dogma del peccato originale che in realtà si rifa alla tendenza naturale, inspiegabile razionalmente, dell'uomo a mettere in atto comportamenti contrari alla legge morale. Vi è infatti, una inclinazione naturale umana, che Kant chiama male radicale, che spinge l'uomo, pur consapevole razionalmente del bene, a fare irrazionalmente il male. Così la figura di Cristo che nella religione rivelata è configurato come essere trascendente non è altro che la personificazione ideale dell'uomo morale. La fede che si ha in quest'essere superiore è in realtà la fede che ha l'uomo di poter realizzare la legge morale. Tutti i dogmi cristiani sono la trasfigurazione simbolica delle verità naturali morali.


















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