martedì 26 febbraio 2013

LA VERA STORIA DELLA CASTA SUSANNA


«Posso resistere a tutto tranne che alla tentazione. Il solo mezzo per liberarsi dalla tentazione è cederle».
Così ironizzava (ma non troppo) lo scrittore inglese Oscar Wilde (1854-1900) esplicitando a parole un comportamento che molti nascostamente praticano e praticavano anche in tempi meno sospetti. Come dice Gianfranco Ravasi, soltanto Cristo seppe resistere nel deserto alle tentazioni di Satana senza cedimenti di sorta. E come vorrebbe dimostrare una vicenda biblica che voglio riproporre: essa è narrata in una pagina di straordinaria vivacità letteraria, che vede come protagonista e vittima una splendida donna ebrea, Susanna (è il nome di un fiore, tra l'altro caro al Cantico dei cantici, da alcuni identificato con il giglio rosso, da altri con l'anemone o persino con il loto).

La storia è da leggere nel testo del capitolo 13 del libro ve-terotestamentario di Daniele, una pagina che ci è giunta solo nella versione greca della Bibbia.

"1 Abitava in Babilonia un uomo chiamato Ioakìm, 2 il quale aveva sposato una donna chiamata Susanna, figlia di Chelkìa, di rara bellezza e timorata di Dio. 3 I suoi genitori, che erano giusti, avevano educato la figlia secondo la legge di Mosè. 4 Ioakìm era molto ricco e possedeva un giardino vicino a casa ed essendo stimato più di ogni altro i Giudei andavano da lui. 5 In quell'anno erano stati eletti giudici del popolo due anziani: erano di quelli di cui il Signore ha detto: «L'iniquità è uscita da Babilonia per opera di anziani e di giudici, che solo in apparenza sono guide del popolo». 6 Questi frequentavano la casa di Ioakìm e tutti quelli che avevano qualche lite da risolvere si recavano da loro. 7 Quando il popolo, verso il mezzogiorno, se ne andava, Susanna era solita recarsi a passeggiare nel giardino del marito. 8 I due anziani che ogni giorno la vedevano andare a passeggiare, furono presi da un'ardente passione per lei: 9 persero il lume della ragione, distolsero gli occhi per non vedere il Cielo e non ricordare i giusti giudizi. 10 Eran colpiti tutt'e due dalla passione per lei, 11 ma l'uno nascondeva all'altro la sua pena, perché si vergognavano di rivelare la brama che avevano di unirsi a lei. 12 Ogni giorno con maggior desiderio cercavano di vederla. Un giorno uno disse all'altro: 13 «Andiamo pure a casa: è l'ora di desinare» e usciti se ne andarono. 14 Ma ritornati indietro, si ritrovarono di nuovo insieme e, domandandosi a vicenda il motivo, confessarono la propria passione. Allora studiarono il momento opportuno di poterla sorprendere sola.15 Mentre aspettavano l'occasione favorevole, Susanna entrò, come al solito, con due sole ancelle, nel giardino per fare il bagno, poiché faceva caldo. 16 Non c'era nessun altro al di fuori dei due anziani nascosti a spiarla. 17 Susanna disse alle ancelle: «Portatemi l'unguento e i profumi, poi chiudete la porta, perché voglio fare il bagno». 18 Esse fecero come aveva ordinato: chiusero le porte del giardino ed entrarono in casa dalla porta laterale per portare ciò che Susanna chiedeva, senza accorgersi degli anziani poiché si erano nascosti. 19 Appena partite le ancelle, i due anziani uscirono dal nascondiglio, corsero da lei e le dissero: 20 «Ecco, le porte del giardino sono chiuse, nessuno ci vede e noi bruciamo di passione per te; acconsenti e datti a noi. 21 In caso contrario ti accuseremo; diremo che un giovane era con te e perciò hai fatto uscire le ancelle». 22 Susanna, piangendo, esclamò: «Sono alle strette da ogni parte. Se cedo, è la morte per me; se rifiuto, non potrò scampare dalle vostre mani. 23 Meglio però per me cadere innocente nelle vostre mani che peccare davanti al Signore!». 24 Susanna gridò a gran voce. Anche i due anziani gridarono contro di lei 25 e uno di loro corse alle porte del giardino e le aprì.26 I servi di casa, all'udire tale rumore in giardino, si precipitarono dalla porta laterale per vedere che cosa stava accadendo. 27 Quando gli anziani ebbero fatto il loro racconto, i servi si sentirono molto confusi, perché mai era stata detta una simile cosa di Susanna.28 Il giorno dopo, tutto il popolo si adunò nella casa di Ioakìm, suo marito e andarono là anche i due anziani pieni di perverse intenzioni per condannare a morte Susanna. 29 Rivolti al popolo dissero: «Si faccia venire Susanna figlia di Chelkìa, moglie di Ioakìm». Mandarono a chiamarla 30 ed essa venne con i genitori, i figli e tutti i suoi parenti. 31 Susanna era assai delicata d'aspetto e molto bella di forme; 32 aveva il velo e quei perversi ordinarono che le fosse tolto per godere almeno così della sua bellezza. 33 Tutti i suoi familiari e amici piangevano.34 I due anziani si alzarono in mezzo al popolo e posero le mani sulla sua testa. 35 Essa piangendo alzò gli occhi al cielo, con il cuore pieno di fiducia nel Signore. 36 Gli anziani dissero: «Mentre noi stavamo passeggiando soli nel giardino, è venuta con due ancelle, ha chiuse le porte del giardino e poi ha licenziato le ancelle. 37 Quindi è entrato da lei un giovane che era nascosto, e si è unito a lei. 38 Noi che eravamo in un angolo del giardino, vedendo una tale nefandezza, ci siamo precipitati su di loro e li abbiamo sorpresi insieme. 39 Non abbiamo potuto prendere il giovane perché, più forte di noi, ha aperto la porta ed è fuggito. 40 Abbiamo preso lei e le abbiamo domandato chi era quel giovane, ma lei non ce l'ha voluto dire. Di questo noi siamo testimoni». 41 La moltitudine prestò loro fede poiché erano anziani e giudici del popolo e la condannò a morte. 42 Allora Susanna ad alta voce esclamò: «Dio eterno, che conosci i segreti, che conosci le cose prima che accadano, 43 tu lo sai che hanno deposto il falso contro di me! Io muoio innocente di quanto essi iniquamente hanno tramato contro di me». 44 E il Signore ascoltò la sua voce.45 Mentre Susanna era condotta a morte, il Signore suscitò il santo spirito di un giovanetto, chiamato Daniele, 46 il quale si mise a gridare: «Io sono innocente del sangue di lei!».47 Tutti si voltarono verso di lui dicendo: «Che vuoi dire con le tue parole?». 48 Allora Daniele, stando in mezzo a loro, disse: «Siete così stolti, Israeliti? Avete condannato a morte una figlia d'Israele senza indagare la verità! 49 Tornate al tribunale, perché costoro hanno deposto il falso contro di lei».50 Il popolo tornò subito indietro e gli anziani dissero a Daniele: «Vieni, siedi in mezzo a noi e facci da maestro, poiché Dio ti ha dato il dono dell'anzianità». 51 Daniele esclamò: «Separateli bene l'uno dall'altro e io li giudicherò». 52 Separati che furono, Daniele disse al primo: «O invecchiato nel male! Ecco, i tuoi peccati commessi in passato vengono alla luce, 53 quando davi sentenze ingiuste opprimendo gli innocenti e assolvendo i malvagi, mentre il Signore ha detto: Non ucciderai il giusto e l'innocente. 54 Ora dunque, se tu hai visto costei, di': sotto quale albero tu li hai visti stare insieme?». Rispose: «Sotto un lentisco». 55 Disse Daniele: «In verità, la tua menzogna ricadrà sulla tua testa. Già l'angelo di Dio ha ricevuto da Dio la sentenza e ti spaccherà in due». 56 Allontanato questo, fece venire l'altro e gli disse: «Razza di Canaan e non di Giuda, la bellezza ti ha sedotto, la passione ti ha pervertito il cuore! 57 Così facevate con le donne d'Israele ed esse per paura si univano a voi. Ma una figlia di Giuda non ha potuto sopportare la vostra iniquità. 58 Dimmi dunque, sotto quale albero li hai trovati insieme?». Rispose: «Sotto un leccio». 59 Disse Daniele: «In verità anche la tua menzogna ti ricadrà sulla testa. Ecco l'angelo di Dio ti aspetta con la spada in mano per spaccarti in due e così farti morire».60 Allora tutta l'assemblea diede in grida di gioia e benedisse Dio che salva coloro che sperano in lui. 61 Poi insorgendo contro i due anziani, ai quali Daniele aveva fatto confessare con la loro bocca di aver deposto il falso, fece loro subire la medesima pena alla quale volevano assoggettare il prossimo 62 e applicando la legge di Mosè li fece morire. In quel giorno fu salvato il sangue innocente. 63 Chelkìa e sua moglie resero grazie a Dio per la figlia Susanna insieme con il marito Ioakìm e tutti i suoi parenti, per non aver trovato in lei nulla di men che onesto. 64 Da quel giorno in poi Daniele divenne grande di fronte al popolo."

La Storia di Susanna è un racconto in greco composto verso la metà del II secolo a.C. da un autore ebreo anonimo, forse basato su un prototesto ebraico perduto. Rappresenta un' aggiunta del testo del Libro di Daniele della Septuaginta rispetto alla versione ebraica del testo masoretico, conservata poi nella Vulgata e nella tradizione cattolica. È, quindi, un testo deuterocanonico, non compreso nella Bibbia ebraica e protestante che lo considerano del tutto apocrifo.
Nel III secolo, Origene di Alessandria scrisse che il racconto di Susanna era «presente in ogni chiesa di Cristo nella copia greca che è in uso presso i Greci». Nel momento in cui Origene scrisse questo, tuttavia sembra che non molti ebrei leggessero Susanna, almeno non come Sacra Scrittura. Anche se il racconto aveva chiaramente fatto parte della prima forma semitica del libro (probabilmente scritta in aramaico più che in ebraico, come per la maggior parte del libro di Daniele) che è stato tradotto dai Settanta, esso non è contenuto in nessuna delle sette copie semitiche di Daniele scoperte tra i rotoli del Mar Morto. Inoltre, non si trova né negli scritti di Giuseppe Flavio del I secolo, né nella traduzione del II secolo delle Scritture ebraiche da parte dell’ebreo Aquila. Abbiamo l’ulteriore testimonianza di Girolamo, che parlava di un critico ebreo che considerava la storia di Susanna un frutto della narrativa greca.
Quanto al perché il racconto di Susanna non fosse più presente nel canone rabbinico delle Sacre Scritture, Ippolito a Roma e Origene in Egitto esprimevano una comune visione cristiana del III secolo, avanzando una spiegazione piuttosto semplicistica. La ragione per cui la storia di Susanna non era stata inclusa nel canone, dicevano, era che il canone più recente era stato stabilito dagli anziani ebrei, i quali non avrebbero visto di buon occhio un racconto che dipingeva come cattivi due di loro!

Una delle vittime della decisione di Lutero di limitare i libri dell’Antico Testamento a quelli contenuti nel canone rabbinico fu certamente la drammatica e avvincente storia di Susanna.. Per i protestanti, la storia di Susanna, insieme a tutti gli altri brani dell’Antico Testamento non contenuti nel canone ebraico/aramaico, fu messa in quelli che divennero noti come “testi apocrifi”, facendo in modo che molti cristiani, in epoche successive, l’avrebbero presa meno sul serio e l’avrebbero letta, probabilmente, meno spesso. Non è esagerato dire che tutte le generazioni di cristiani prima di Lutero e la maggior parte dei cristiani, anche dopo di lui, erano a conoscenza del racconto biblico.
V’è da aggiungere che la fonte originaria della storia di Susanna non è conosciuta con certezza. Forse esisteva anche uno scritto ebraico dedicato a Susanna, ma allo stato attuale il testo è tratto da scrittori intermediari, quale Teodozio. Di questo personaggio colto si conosce poco; era probabilmente un proselito giudeo di Efeso, autore al tempo di Commodo - poco prima della fine del II secolo - di una revisione della Bibbia greca dei Settanta (che era utilizzata da ebrei e cristiani). È tra i primi a enfatizzare con accenti erotici il racconto di Daniele: sottolinea, per esempio, il bagno nell' ora più calda del giorno, indulge sulle grida della donna quando i due anziani fanno le loro richieste e così di seguito. Va detto che il nome di Susanna (la Sousánna greca dei Settanta) ha già il destino nella sua radice: deriverebbe dall' ebraico shûshan, che significa giglio, vale a dire il simbolo della purezza (per essere precisi occorre notare che il fiore era shûshanna, forse forma aramaizzata in na). Inoltre gli anziani del racconto, che soprattutto la tradizione pittorica raffigurerà come dei vecchi («Susanna e i vecchioni» diventa una frase ricorrente anche nel parlato comune), sono stati intesi come dei libidinosi avanti negli anni, pur essendo dei notabili che sedevano nelle assemblee, autorevoli e ascoltati. Insomma «perfidi anziani », ma vere guide delle comunità ebraiche esiliate: così, per esempio, si rileva in alcuni passi del profeta Ezechiele (Ez, 8,1; 14,1; 20,1).
Dopo che Origene, nel suo famoso "Hexapla", mise la traduzione piuttosto recente di Daniele fatta da Teodozio (fine II secolo) in parallelo con quella dei Settanta, i lettori cristiani iniziarono a confrontare le due traduzioni e preferirono quella di Teodozio. Così, nonostante l’autorità tradizionale e venerabile di cui la Septuaginta goda nella Chiesa, la traduzione di Teodozio venne a prevalere tra i copisti cristiani quando trascrissero il Libro di Daniele.
La versione di Teodozio fu poi adottata come versione di Daniele nel lezionario liturgico bizantino e la traduzione latina (Vulgata) del Daniele di Teodozio fu incorporata nel lezionario romano. Fu talmente grande il dominio di Teodozio che l’antica traduzione che i Settanta fecero di Daniele quasi scomparve e non se ne conosceva alcuna copia fino alla scoperta del Christianus Codex nel 1772. Allo stesso modo, fu la traduzione teodoziana di Daniele a essere tradotta in quasi tutte le altre versioni cristiane antiche (siriaco peshitta, copto boharico e sahidico, etiope, armeno, arabo e slavone). Stessa cosa accadde con quasi tutte le traduzioni moderne. Inoltre, se i due racconti sono messi a paragone, quello di Teodozio è estremamente più colorito e dettagliato. Quindi, non c’è da meravigliarsi che i copisti cristiani preferissero la resa teodoziana di Susanna.

Nel Quattrocento Lucrezia Tornabuoni, moglie di Pietro de’ Medici e madre del grande Lorenzo, scrisse, tra l'altro, cinque poemetti a sfondo biblico ("Le storie sacre"): uno di essi fu dedicato al racconto malizioso dell’incontro fra Susanna e i due vecchioni. La continua diffusione di quest’opera negli ambienti umanistici e rinascimentali ha deteminato una vasta e riconoscibile influenza sui modi della rappresentazione pittorica della vicenda in essa raccontata. Soprattuto, l’immaginario della seduzione e della castità o, meglio, del contrasto intrigante fra eros e santità, che il poemetto ha finito col suscitare, si è riverberato a lungo attra-verso una trama sottile di suggestioni fantastiche e di connessioni culturali iconografiche.
Per il suo carattere edificante ed il lieto fine che lo caratterizza, l'episodio della casta Susanna era già divenuto un tema ricorrente fin dalla primissima iconografia catacombale (a significare la salvezza e la resurrezione finali dei credenti). Sulle pareti delle catacombe romane si trovano sei icone murali tratte dalla storia di Susanna, la prima delle quali risale all’ inizio del II secolo. Inoltre, sono state ritrovate sette scene riguardanti la stessa storia operate in bassorilievo sui sarcofagi cristiani dei primi secoli in Italia e in Gallia.
Dopo la pubblicazione del poemetto della Tornabuoni la iconografia della vicenda esplode fra i grandi pittori del XVI e nel XVII, forse anche perché, oltre all'esempio di virtù, permetteva di mostrare un nudo femminile.
Indubbiamente l'arte ha soprattutto immortalata Susanna nuda durante il bagno, sotto lo sguardo pieno di voglia dei due vecchioni. D' altra parte, quella scena, pur non isolata dal resto dei fatti, colpì già coloro che ci lasciarono il più antico ciclo pittorico della storia, vale a dire le due lunghe pareti della cosiddetta Cappella Greca nel cimitero di Priscilla a Roma. Certo, l' episodio dei guardoni nel Cinquecento e nel Seicento diventa il più dipinto, a cominciare dagli affreschi del Pinturicchio (fine secolo XV) realizzati nell' appartamento Borgia di Palazzo Vaticano. Poi fu tutto un rifiorire di sguardi, di nudità, di ammiccamenti, di voglie, di visi bavosi: da Lorenzo Lotto a Jacopo Tintoretto, da Paolo Veronese a Rubens, da Jacopo Bassano a Guido Reni, da Gherardo delle Notti ad Artemisia Gentileschi, fino alla versione ottocentesca di Francesco Hayez, che elimina del tutto i vecchioni per lasciare solo il nudo. Impossibile elencarli tutti.
E la musica, anche se mai conobbe un vero capolavoro dedicato alla più celebre calunniata della storia, ha lasciato a sua volta innumerevoli opere, a cominciare da "La Susanna" di Giovan Battista Borri (Bologna tra il 1665 e il 1688) all' omonimo oratorio di Händel, dall' operetta ammiccante "Suzanne et les vieillards" di Charles Moulins (Saint-Quentin, dicembre 1893) alla farsa "Susanne im Bade" di Fritz Redl (Mannheim 1911), via via sino al dramma "Susannah" di Carlisle Floyd (Tallhassee, Florida 1955), che è una rielaborazione in chiave moderna e in ambiente americano della vicenda biblica, dove la donna, alla fine dei fatti, rimane però sola e amareggiata con il fucile in mano.
La storia di Susanna diventerà anche il tema di una canzone, che fu in voga mezzo secolo fa, diffusa in Italia con strofe rimate e con un celebre ritornello: «Oh Susanna non piangere perché/ ho lasciato l' Alabama/ per restare accanto a te». Della vicenda biblica queste semplici parole conservano un riflesso: una lacrima, una gioia che si intravede, una promessa, forse quella redenzione terrena che acco-stiamo alla bellezza.

La vicenda di Susanna, nell'epoca della secolarizzazione o della desacrazione del sacro, merita di essere riletta e, forse, completata con il senno della post-modernità..
Come si è visto, Susanna è divenuta sin dai primi secoli del cristianesimo emblema di castità. La sua figura viene utilizzata da Ambrogio per offrire un supporto scritturistico alle tematiche della speculazione filosofica neoplatonica, incentrate sull'emanazione dell'anima dall'Uno e sul suo ricongiungimento con l'Uno attraverso il silenzio.
Nell'ermeneutica ambrosiana la figura biblica di Susanna, in armonia con la tradizione, conserva la funzione di esempio di castità nella sfera etica e si arricchisce della connotazione dell'exemplum all'interno della visione neoplatonica. È proprio in questa nuova dimensione che si può constatare lo sforzo fatto da Ambrogio per trasformare in senso cristiano i dati fondamentali della cultura classica.
Girolamo la chiamò la donna “nobile nella fede”, e fu descritta da Cromazio di Aquileia come “quella donna nobilissima”. Ad ornarle i capo – disse Ippolito – erano “fede, castità e santità.” Fedele ai voti del suo matrimonio, fu ripetutamente presa da Ambrogio e da altri come genuino modello della castità matrimoniale.
Zeno di Verona affermò che Susanna considerava la castità più preziosa della sua stessa vita. Temeva la vergogna più della morte; invero, la sola morte che temeva era la morte dell’anima a causa del peccato, scrisse Girolamo. Teodoreto di Ciro la esaltò per aver scelto saggiamente e coraggiosamente con coscienza. «Nel senso evangelico», scrisse Ippolito «Susanna disprezzò coloro che potevano uccidere il corpo, in modo che potesse salvare la sua anima dalla morte». Così, Stefano di Grandmont osservò che Dio, salvando Susanna dal peccato, le mostrò una grazia ancora maggiore rispetto al salvarla dalla morte.

Ora, c'è da domandarsi : perchè il personaggio Susanna ha conservato nel corso dei secoli questa fama di "castità", enormemente enfatizzata dall'apologetica cristiana? E' una fama la sua veramente meritata?
Intanto, osservo che alla stregua del testo biblico ella è definita "donna di rara bellezza e timorata di Dio" (Dn, 13, 1), ovvero "delicata di aspetto e molto bella di forma" (Dn, 13, 31): dunque, è testualmente raccontata come una donna molto avvenente e, senza dubbio, "pia" e "virtuosa", ma non anche "casta". L'anonimo ebreo di lingua greca evidentemente sapeva ciò che scriveva. Non poteva infatti attribuire a Susanna la condizione di donna casta, perché il sostantivo greco "agnòtes" e l'aggettivo "agnòs", entrambi derivati dal verbo "àzomai", esprimevano il concetto di "purezza" e "innocenza", di certo in riferimento alla pratica del sesso; e non potevano essere perciò usati nei confronti di una donna molto avvenente, sposata e con figli (Dn, 13, 30).
Gli è che per i cristiani cattolici si è "casti" non solo quando si pratica l'astinenza dal sesso fuori dal matrimonio, ma anche quando nel matrimonio la donna pratica il sesso con temperanza e continenza, e. soprattutto, con assoluta fedeltà verso il proprio sposo. Per i cattolici, infatti, tutti sono chiamati alla castità, non solo i monaci, le suore ed i preti, ma anche chi non abbia contratto matrimonio o chi l'abbia contratto. Un grande pasticcio, una grande confusione di idee e principi, probabilmente scaturita dal pensiero del grande Agostino che nello scritto "Dignità del matrimonio" affermò che “una casta sposa cristiana può  ereess santa nel corpo".

Ma c'è dell'altro che, a mio avviso, mette in crisi la supposta purezza ed innocenza di Susanna. D'altra parte il sospetto che Susanna la sapesse più lunga di quel che mostrava deve aver attraversato anche la mente dei grandi artisti del pennello che - lo si è già detto - insistentemente la ritrassero in pose abbastanza difformi da quelle che può assumere una donna "casta" e "timorata di Dio"; pose, ammiccanti e lascive, rappresentate con dovizia di anatomie intime. Ad esempio, nel quadro di Alessandro Allori (1561) Susanna appare addirittura compiacente verso i due viziosi vecchioni (v. immagine in alto).
Vediamolo quest' "altro", come lo si rileva da una più attenta ermeneutica del passo biblico.
In primis, quella costante abitudine di andare a passeggio nel giardino di casa, quando i giudici ed il popolo, dopo aver deliberato sulle liti giudiziarie, verso mezzogiorno se ne andavano. Ora, può darsi che quello fosse il momento più idoneo della giornata per godersi le piacevolezze di quel giardino, ma è anche ragionevole pensare che Susanna non poteva non essersi accorta che due vecchioni solevano attardarsi nei paraggi, rivolgendole la loro morbosa attenzione: ciò, infatti, accadeva "ogni giorno" (Dn, 13. 6-10). Quindi, sta a vedere che Susanna, bella e formosa, e naturalmente consapevole della sua avvenenza,  era anche un tantino civetta e si dilettava a provocare i giudici sporcaccioni, magari sculettando più del lecito nel suo incedere.
In secundis, la vecchiaia dei guardoni concupiscenti. Essi dovevano essere molto brutti e decrepiti di membra, se la donna potette dichiarare, al momento dell'ignobile ricatto, "Se cedo è la morte per me" (Dn., 13, 22). Morte dell'anima per aver aver disobbedito alla legge di Mosè o, piuttosto, morte del corpo, causata dal disgusto di una duplice congiunzione carnale indesiderata? Possiamo dirci certi che se si fosse trattato di un bel giovanetto, come appunto doveva essere Daniele, anziché degli sgradevoli vegliardi, Susanna si sarebbe rifiutata con altrettanta veemenza di "peccare davanti al Signore" (Dn, 13, 23)? Mettiamola così: un rifiuto a petto delle insinuanti proposte di un uomo giovane e piacevole avrebbe maggiormente avvalorato la cosiddetta castità di Susanna.
Infine, la di lei condotta processuale. A me pare che la sentenza di condanna inflittale in primo grado sia stata del tutto giusta. La moltidudine, cioè il popolo riunito in giuria, che era all'oscuro dei fatti, a fronte della testimonianza circostanziata degli accusatori ed a fronte dell'inspiegabile silenzio di Susanna, quale diversa decisione avrebbe potuto prendere? Susanna non dice una sola parola per difendersi, soltanto piange e prega dentro di sé. Alzerà la voce in preghiera solo dopo la pronuncia della sua condanna a morte (Dn, 13, 35, 41-42). Checché ne abbia pensato Ambrogio ("Rimanendo in silenzio ella vinse") ed il solito S. Agostino ("Mantenne il silenzio ma gridava di dolore nel cuore"), è mia opinione che Susanna abbia voluto rischiare troppo riponendo la sua sorte nelle mani del "Dio eterno" che conosceva sì la verità, ma i cui criteri di giustizia non sono mai stati molto lineari ed univoci nell'Antico Testamento.

Oppure Susanna sapeva di poter contare su Daniele? A questo punto, il discorso si fa più complesso.
Chi era Daniele? Molti biblisti dubitano della sua effettiva esistenza, considerandolo un personaggio meramente leggendario. Comunque, pare che sia stato l'ultimo dei quattro profeti detti maggiori. Giudeo, nato probabilmente a Gerusalemme da famiglia nobile, forse imparentata coi re di Giuda, appena adolescente sarebbe stato deportato a Babilonia da Nabucodonosor, insieme con altri giovani dello stesso rango sociale, nell'anno terzo o quarto di Ioakin, re di Giuda (606-605 a.C), dove, per la sua saggezza avrebbe conquistato la fiducia del re babilonese e sarebbe diventato funzionario di corte ed interprete dei sogni dello stesso re. Ma dal testo che si commenta si evince che la sua grandezza di uomo saggio e profetico si sia affermata dopo la vicenda di Susanna, poiché si legge che al tempo del processo a lei intentato Daniele era un giovanetto che il Signore volle ispirare e che soltanto dopo essere riuscito a salvare Susanna dalla ingiusta pena di morte divenne "grande di fronte al pololo" (Dn, 13, 45, 64).
Quindi, nel momento in cui dichiara di essere "innocente del sangue di lei" e spinge il popolo a tornare in tribunale perché i pefidi anziani "avevano deposto il falso contro una figlia d'Istraele", Daniele non era nessuno; era soltanto un giovanetto il cui "santo spirito" era stato "suscitato" dal Signore (Dn, 13, 43-46). Si badi: il Signore nulla dice a Daniele su come i fatti che erano stati portati al giudizio tribunalizio si erano realmente svolti. Si limita a suscitargli il "santo spirito", cioè, secondo il significato attribuito all'espressione dall'ermeneutica cristiana, il carisma profetico di cui il giovane Daniele era dotato.
Mi sembra strano: le profezie (dal greco ‘propheteia’) dell' Antica Alleanza  erano discorsi emanati su divina ispirazione che dichiaravano lo scopo di Dio, sia per rimproverare o ammonire i malvagi o per confortare gli afflitti, o per rivelare cose nascoste, specialmente per pronosticare i futuri eventi. Indub-biamente, il profeta ebraico aveva il compito, assegnatogli da Jahvè, di predire, di preconizzare l'avvenire. Daniele stesso nel capitolo 2 del libro a lui dedicato parla dei regni che avrebbero controllato e governato il Mediterraneo e le terre attorno ad esso (2, 31), e nel capitolo 9 predice la venuta del "Messia il Condottiero" indicando il tempo del suo avvento (9, 25). E mi sembra poco verosimile che il Signore, avendo ascoltato la preghiera di Susanna, si preoccupasse di stimolare le virtù profetiche di Daniele, anzi-ché illuminarlo sulla canagliata perpetrata dai vecchioni. Non era una profezia che necessitava in quel drammatico frangente, bensì una voce, una testimonianza capace di confutare la vile menzogna degli accusatori. Perciò, ritengo che quel “suscitargli il santo spirito” può meglio voler dire “risvegliare in lui la coscienza del giusto", "fargli sentire il santo dovere di rivelare una verità conosciuta".

Ma allora Daniele sapeva e Susanna sapeva che egli sapeva, donde in lei la fiducia che alla fine Daniele con la sua testimonianza l'avrebbe salvata? Perché no! Il giovane, appartenendo ad illustre famiglia giudea ed avendo l'ambizione di occupare durante la cattività babilonese un ruolo sociale all'altezza del suo rango, era certamente un frequentatore della casa del ricco Ioakim, attrezzata a tribunale. Pertanto, non è da escludere che godesse di una certa familiarità nell'ambiente e che questa gli consentisse di avere libero accesso al giardino di Susanna, più di quanto l'avesse il popolo chiamato a giudicare. Allo stesso modo, non mi sembra che possa escludersi che anche Daniele, vigoroso ed ardente adolescente giudeo, attratto dalle grazie di Susanna, si dilettasse a sbirciarla quand'ella andava a passeggio e, forse, a guardarla quando si bagnava nuda nella vasca del giardino. Va de sé supporre che Susanna si fosse ben accorta degli sguardi ammirati del giovane giudeo.

Dunque. è ben credibile che Daniele, quel giorno sfortunato, si trovasse nel giardino di casa Ioakim e che abbia visto, non visto, le ignobili manovre dei vecchioni. Da dove, se no, la sua certezza sulla non colpevolezza di Susanna? È parimenti credibile che egli, timoroso dello status di giudici e dell'autorità che godevano i perfidi vecchioni nella comunità ebrea in esilio, non se la sia sentita di insorgere contro di loro e di smentirli nel corso del giudizio. Non bisogna dimenticare che Daniele al tempo del processo era ancora un ragazzo da poco venuto a contatto con le alte sfere di quella comunità e che, quindi, benché destinato da Dio a grandi cose, non deve aver avuto il coraggio di denunciare quei maggiorenti. Perciò, solo dopo la condanna, incalzato dal rimorso che il Signore gli aveva suscitato, non resistette più e lanciò quel grido liberatorio: "Io sono innocente del sangue di lei".
Ma perché Daniele si proclama "innocente"? E' chiaro: egli si sente innocente rispetto all’iniquo comportamento dei giudici. Egli era stato preso dalla bellezza di Susanna e come loro l’aveva spiata, ma non aveva partecipato all’infame congiura da essi imbastita contro di lei. Interpretazione diversa non ap-pare possibile. Infatti, non risulta dalla narrazione che Daniele non abbia votato in assemblea, insieme a tutto il popolo, la condanna a morte di Susanna o che si sia astenuto dal votare: ne consegue che la sua proclamazione di innocenza non può riferirsi a un siffatto comportamento, il cui grande rilievo, qualora ci fosse stato, non sarebbe sfuggito all'autore del racconto. Per altro, anche ammettendo, per via di semplice ipotesi, la grave distrazione dell' autore del racconto, l'insussistenza di tale comportamento è confermata dalla sorpresa che la dichiarazione di Daniele solleva nella gente intervenuta all'assemblea: "Che vuoi dire con le tue parole?" (Dn, 13, 47).
Tutto ciò che accade in seguito supporta ampiamente quanto sopra considerato. Alla domanda della gente Daniele risponde non spiegando il significato della sua innocenza, ma facendo intendere che il giudizio emesso faceva torto alla verità e che, pertanto, bisognava tornare il tribunale per la revisione del processo (Dn, 13, 47-49). Ed il popolo torna in tribunale, dove gli anziani lo invitano a sedere accanto a loro ed a fargli da maestro.
Come se la cava Daniele quando gli anziani gli riconoscono il "dono dell'anzianità" e prende in mano il capo della matassa (Dn, 13, 50-51)? Capisco che oramai egli non può più agire come persona a conoscenza dei fatti: testimoniare adesso e dare conto delle ragioni che l'avevano indotto a tacere nel processo di prima istanza lo avrebbe compromesso per sempre davanti alla sua gente e gli avrebbe pregiudicato la carriera. Ma devo dire che anche come giudice se la cava piuttosto male. In primo luogo, perché, senza nulla avere ancora provato, in sede di interrogatorio separato, assale brutalmente, con evidente intento intimidatorio, i due vecchioni, definendo il primo "invecchiato male", "datore di sentenze ingiuste", "oppressore di innocenti", "assolutore di malvagi", "uccisore di giusti"; ed il secondo "razza di Canaan e non di Giuda" (cioè: "bastardo", ndr), "pervertito", "violentatore delle donne d'Israele" (Dn,13,53-57). Ahimè, una condotta giudiziale questa deontologicamente assai riprovevole. In secondo luogo, perché la sua strategia processuale mette a rischio il buon esito del giudizio di appello: egli infatti scommette sulla discordanza delle risposte che ciascuno dei due vecchioni avrebbe dato, in assenza del compare, alla domanda: "Sotto quale albero hai visto Susanna e l'amante unirsi?". E se i due perfidi anziani, resi scaltri dal loro mestiere di giudice, avessero preventivamente e prudentemente concordato questo dettaglio al momento della costruzione della falsa accusa, quale sarebbe stato il finale della storia? Chi avrebbe salvato Susanna dalla lapidazione?
Inutile girarci intorno: dalla vicenda Daniele non ne esce bene. Egli è stato il testimone oculare delle manfrine architettate dai vecchioni, ma gli è mancato il coraggio civile di scagionare immediatamente Susanna. Per di più, è stato un giudice sciocco e tecnicamente sprovveduto, poichè ha messo a repentaglio la salvezza di Susanna. E di ciò ben devono essersi avveduti Ioakim, il marito di Susanna, Chelkia, il padre, e la madre ed i parenti tutti, i quali, a bocce ferme, resero grazie a Dio per come si era conclusa la vicenda, ma non una sola parola di gratitudine pronunciarono nei confronti di Daniele. La stessa Susanna, che pure deve avere esultato per il riconquistato onore, non lo abbraccia stretto e non lo bacia a lungo sulla bocca quando "tutta l'assemblea diede grida di gioia e benedisse Dio che salva coloro che sperano in lui". Mi sembra evidente: Susanna si era perfettamente resa conto del grande pericolo cui l’aveva esposta la vigliaccheria e l’ imperizia di Daniele.
Così, tutto il merito della felice conclusione della storia viene ricondotto a Dio (in realtà, deve essere stata veramente la sua mano a far cadere in contraddizione i vecchioni), mentre dalla scena del tripudio finale Daniele, innamorato imbelle e giudice poco accorto, è lasciato interamente fuori. Ben vero è che "da quel iorngo divenne grande di fronte al popolo" (Dn, 13, 60-64), ma - si sa - il popolo è sempre quello che spesso si sbaglia sulla grandezza di coloro che innalza sugli scudi.
Di tale che, mi suona proprio come una mera fantasiosa congettura quella sussurrata da taluni commentatori del brano biblico, secondo cui, in ultimo, Susanna avrebbe premiato Daniele, concedendogli ciò che aveva intensamente bramato nel giardino dei desideri. Anzi, penso proprio che da femmina bella, ma non stupida, si sia lasciata guidare dall’amara esperienza vissuta ed abbia formulato la famosa massima : “Colei che con i ragazzi si mette inguaiata si trova”.













4 commenti:

Clara Calami ha detto...

Credo che i fatti siano accaduti come li hai descritti. Io infatti al posto di Susanna mi sarei regolata esattamente così.

Anonimo ha detto...

D'accordo su tutto, tranne che sul finale: penso infatti che Susanna per festeggiare degnamente lo scampato pericolo gliela dette.

Anonimo ha detto...

Tutte supposizioni. La verità è che Susanna la dava con il misurino anche al marito Ioakìm.

Anonimo ha detto...

Possibile che si consideri la sessualità come qualcosa di così coercitivo da non poter resistere . Queste battute su Susanna sono maschiliste , del maschilismo più becero . Gandhi che non era ebreo né cattolico ha fatto voto di resistere alle tentazioni sessuali . Il sesso senza amore è ben poca cosa . Post coitum omne animal triste . La depressione post sesso senza amore è comune a tutti . Ora siamo diventati dei guardoni e dei sex addicts . Il sesso per milioni di persone che frequentano regolarmente le prostitute è una tossicomania . Un vecchio prostatico negro .