mercoledì 7 novembre 2012

IL GALLO DI ASCLEPIO

Amici miei ultraottantenni imparate a morire come seppe morire Socrate, secondo la testimonianza di Platone (i meno ignoranti rileggano - naturalmente nella traduzione italiana - il Fedone).
Voglio aiutarvi : ecco, in breve, il racconto.
Socrate trascorre serenamente, come di abitudine, la sua ultima giornata in compagnia dei suoi amici e discepoli dialogando di filosofia, in particolare affrontando il problema dell'immortalità dell'anima e del destino dell'uomo nell'aldilà.
Quindi si reca in una stanza a lavarsi per evitare alle donne il fastidio di accudire al suo cadavere. Poi torna in cella, saluta i suoi tre figlioli (Sofronisco, dal nome del nonno, Lamprocle e il piccolo Menesseno) e le donne di casa e li invita ad andarsene. Scende il silenzio nella prigione sino a quando giunge il messo degli Undici (il collegio dei magistrati che aveva istruito il processo) per annunciare a quel singolare prigioniero, così diverso dagli altri, come egli dice, per la sua gentilezza, mitezza e bontà, che è giunto il tempo di morire. L'amico Critone vorrebbe che il maestro, come hanno sempre fatto gli altri condannati a morte, rimandasse ancora l'ultima ora poiché non è ancora il tramonto, il tempo stabilito dalla condanna, ma Socrate: « È naturale che costoro facciano così perché credono d'aver qualcosa da guadagnare...[io] credo di non aver altro da guadagnare, bevendo un poco più tardi [il veleno], se non di rendermi ridicolo a' miei stessi occhi, attaccandomi alla vita e facendone risparmio quando non c'è più niente da risparmiare... ».
Giunto il carceriere incaricato della somministrazione della cicuta Socrate si rivolge a lui, poiché in questo "dialogo" è lui il più "sapiente", chiedendogli che cosa si deve fare e se si può libare a un qualche dio. Il boia risponde che basta bere il veleno che è della giusta quantità per morire e non è quindi possibile usarne una parte per onorare gli dei. Socrate allora dice che si limiterà a pregare la divinità perché gli assicuri un felice trapasso e, così detto, beve la pozione. Gli amici a questo punto si abbandonano alla disperazione ma Socrate li rimprovera facendo, lui che sta morendo, a loro coraggio: « Che stranezza è mai questa, o amici, Non per altra ragione io feci allontanare le donne perché non commettessero di tali discordanze. E ho anche sentito dire che con parole di lieto augurio bisogna morire. Orsù dunque state quieti e siate forti».
Il paralizzarsi e il raffreddarsi delle membra, divenute insensibili, dai piedi verso il torace, segnala il progressivo avanzare del veleno: « E ormai intorno al basso ventre era quasi tutto freddo; ed egli si scoprì - perché s'era coperto - e disse, e fu l'ultima volta che udimmo la sua voce: «O Critone, noi siamo debitori di un gallo ad Asclepio: dateglielo e non dimenticatevene!».

Nota dell'autore.
Le ultime parole di Socrate morente hanno dato luogo a varie interpretazioni da parte degli studiosi: quella più semplice e diffusa è che egli, che non vuole lasciare debiti irrisolti né con gli uomini né con gli dei, prega Critone di ringraziare per suo conto, sacrificandogli un gallo, il dio Asclepio (l'Esculapio per i romani) per avergli reso la morte indolore.
Sarò contento se ciascuno di voi farà tesoro di questa attenzione del grande filosofo e nel momento fatale disporrà l'nvio al mio domicilio di una soprassatella accompagnata da una mozzarellina di bufala.


1 commento:

Clara Calamai ha detto...

Poichè penso che tra poco riceverai parecchie soprassate e mozzarelline perchè non me ne mandi qualcuna a Verona?