martedì 13 novembre 2012

LA FRAMMENTAZIONE DELLA CHIESA DI PIETRO


Vediamo di raccapezzarci nella molteplicità delle chiese cristiane.

I

La CHIESA CATTOLICA (dal latino ecclesiastico catholicus, a sua volta dal greco antico: καθολικός, katholikòs, cioè "universale") è la Chiesa cristiana che riconosce il primato di autorità al vescovo di Roma, in quanto successore dell'apostolo Pietro sulla cattedra di Roma. Conta nel mondo circa 1.200 milioni di fedeli.

II

La CHIESA ORTODOSSA, cioè la Chiesa "di corretta opinione" o “di retta professione di fede” (nota ufficialmente presso i suoi aderenti come Chiesa cattolica ortodossa) è una comunione di Chiese cristiane autocefale, erede della cristianità dell'Impero bizantino, che riconosce un primato d'onore al Patriarca ecumenico di Costantinopoli, dal momento che la sede di Roma, a cui spetterebbe il primato onorifico, non è più in comunione con l'Ortodossia. Essa ritiene che al proprio interno sussista, in via esclusiva, la continuità della Chiesa fondata da Gesù. La Chiesa ortodossa, designa le Chiese cristiane di rito bizantino fedeli ai primi sette concili ecumenici, staccatesi da Roma con lo scisma del 1054, e distinte dalle Chiese orientali monofisite e nestoriane (che accettano solo i primi tre concili). Per Comunione delle Chiese Ortodosse Autocefale Locali si intende più specificamente le Chiese in comunione in prima instanza con il Patriarca Ecumenico e con gli altri Patriarchi e Primati in comunione con questi. Le Chiese in comunione con il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli sono: la Chiesa di Alessandria (Patriarcato di Alessandria); la Chiesa di Antiochia (Patriarcato di Antiochia); la Chiesa di Gerusalemme (Patriarcato di Gerusalemme); la Chiesa di Russia (Patriarcato di Mosca e di tutta la Russia); la Chiesa di Serbia (Metropolia di Belgrado e Patriarcato di Serbia); la Chiesa di Romania (Arcidiocesi di Bucarest e Patriarcato di Romania); la Chiesa di Bulgaria (Metropolia di Sofia e Patriarcato di Bulgaria); la Chiesa di Georgia (Arcidiocesi di Mitschete e Tyflida e Patriarcato di Georgia); la Chiesa di Cipro (Arcidiocesi di Nuova Giustiniana e di tutta Cipro); la Chiesa di Grecia (Arcidiocesi di Atene e di tutta la Grecia); la Chiesa di Polonia ( Metropolia di Varsavia e di tutta la Polonia); la Chiesa di Albania ( Arcidiocesi di Tirana e di tutta l'Albania); la Chiesa della Repubblica Ceca e della Slovacchia; la Chiesa Ortodossa d'America. Della Comunione fanno parte anche Chiese Autonome e altre Chiese con diverso grado di autonomia. Le Chiese Autocefale ,pur essendo nella piena Comunione sacramentale e canonica, agiscono indipendentemente l'una dall'altra; le Chiese autonome hanno un notevole grado di autogoverno ma non possono definirsi autogovernantesi se non altro perchè il loro Primate viene, almeno formalmente, nominato dal Primate della Chiesa Autocefala da cui dipendono. Esistono poi una serie di situazioni a diverso grado di semiautonomia nelle quali l'autorità della primate della chiesa Autocefala di riferimento è ancora più consistente , fino ad arrivare alla stessa diocesi di cui si fa menzione (e ne è anzi peculiare oggetto) quasi esclusivamente nell'Atlante. E' tuttavia necessario specificare che non mancano all'interno di questa Comunione tutta una serie di situazioni oggetto di controversie giurisdizionali talora tali da mettere in dubbio la comunione di qualche particolare giurisdizione. E' necessario ricordare che nell'ambito di questa Comunione la Chiesa Ortodossa in America, pur non essendo riconosciuta da Costantinopoli, è riconosciuta autocefala da altre Chiese Ortodosse Autocefale e fa inoltre parte della S.C.O.B.A.(Conferenza dei Vescovi canonici d'America) di cui fanno parte anche i vescovi in America dipendenti da Costantinopoli. Tutti i vescovi , per la Chiesa Ortodossa, sono uguali essendo le differenze di ordine esclusivamente onirifico. Ad essi che insieme costituiscono il Santo Sinodo in ciascuna Chiesa spetta il governo della stessa. Nell'ambito del S.Sinodo viene costituito spesso un piccolo Sinodo cui spetta il governo per così dire ordinario. I preti nella Chiesa Ortodossa (anzi in tutte le Chiese Orientali anche Cattoliche), possono - al contrario dei Vescovi- contrarre matrimonio prima dell'ordinazione. Praticamente tutti gli Ortodossi (anche quelli non appartenenti alla Comunione delle Chiese Ortodosse Autocefale Locali ) riconoscono la primazia del Papa che non viene intesa come supremazia ma come un primato onorifico "inter pares". Il secondo posto onirifico tra i vescovi spetta al Patriarca Ecumenico di Costantinopoli che quindi ha il primato tra tutti i vescovi ortodossi. Durante la Conferenza Panortodossa del 1961 il Patriarcato Ecumenico venne riconosciuto come rappresentante spirituale dell'Ortodossia, formalizzando una situazione di fatti presente da secoli.Generalmente l'organizzazione territoriale interna di ogni singola Chiesa è basata sulle diocesi anche se in alcune casi sono pure presenti delle Arcidiocesi o delle Metropolie da cui dipendono le diocesi. Tuttavia tale dipendenza, essendo tutti i vescovi uguali,è molto più larvata rispetto a quella (ormai peraltro sempre meno sostanziale) presente nella Chiesa Cattolica.Per la creatività teologica e per il numero di fedeli la Chiesa russa è la più impotante Chiesa ortodossa. L'ecclesiologia ortodossa fa perno sulla chiesa locale, sulla comunione fra le "Chiese sorelle", sul ruolo liturgico e sacramentale del vescovo, sulla vita monastica. Le chiese ortodosse annoverano circa 200 milioni di fedeli.

III

La CHIESA ORTODOSSA COPTA è una chiesa cristiana miafisita (impropriamente detta monofisita, definizione non accettata né dai copti né dagli etiopi). È una delle Chiese orientali antiche, nata in Egitto e diffusasi in Eritrea e in Etiopia. Nella Chiesa copta il titolo di "Papa" spetta al Patriarca di Alessandria. Nel corso del XIX secolo una parte di essa si è portata in comunione con il Papa di Roma. Oggi sussiste sotto il nome di Chiesa cattolica copta. Conta circa 2 milioni di fedeli.

IV

Le CHIESE RIFORMATE sono quelle chiese cristiane che storicamente risalgono alla Riforma protestante del sedicesimo secolo, in seguito soprattutto all'opera riformatrice di Giovanni Calvino, Ulrico Zwingli e dei movimenti e tradizioni loro associati. Comprendono le chiese diffuse in tutto il globo attraverso la loro opera evangelistica e missionaria, come pure l'emigrazione dall'Europa, in particolare quella dei Padri Pellegrini dall’Inghilterra verso l’America del Nord. Comprendono pure chiese e denominazioni d'origine più recente che si sono formate attraverso scissioni dalle chiese storiche della Riforma oppure che vogliono rifarsi idealmente al Calvinismo. Le chiese riformate non hanno fra di loro un'omogeneità organizzativa né sono centralizzate. Si organizzano indipendentemente su base locale (regionale o nazionale) o denominazionale attraverso sinodi, associazioni o assemblee. Esistono però organismi attraverso i quali cooperano fraternamente, riconoscendosi ispirate dalle stesse persuasioni o origine storica.. Le chiese riformate possono essere senz'altro collegate al Calvinismo, ma l'aderenza che hanno ai principi che lo contraddistinguono è varia. Può essere un'aderenza più o meno stretta o soltanto ideale come tradizione storica, sentendosi libere, in quest'ultimo caso, di allontanarsene, di "evolvere" o di "aggiornarne" i principi. Principali denominazione delle Chiese protestanti : Anabattista Anglicana (per quanto si definisca "cattolica ma non romana, riformata ma non protestante"), Avventista, Battista, Calvinista, Metodista, Luterana, Pentecostale, Quacchera, Valdesa, Unitaria. I protestanti nel mondo assommano a circa 950 milioni.

V

Il CRISTIANESIMO DEI MOVIMENTI AMERICANI, di cui i principali sono i Testimoni di Geova ed il Mormonismo.

I Testimoni di Geova sono un movimento religioso cristiano, teocratico, millenarista, restaurazionista, derivato dalla congregazione fondata nel 1870 in Pennsylvania da Charles Taze Russell con un gruppo di studenti delle sacre scritture, originariamente denominata Studenti Biblici.

I Testimoni di Geova affermano di professare il Cristianesimo del I secolo. Il loro movimento pone grande accento sull'interpretazione delle Sacre Scritture, considerate come Parola di Dio infallibile[; l'attività interpretativa é svolta dal Corpo direttivo dei Testimoni di Geova nella sede centrale di Brooklyn. Tale interpretazione risulta difforme da tutte quelle fornite dalle altre confessioni cristiane. I seguaci dei Testimoni di Geova nel mondo sono circa 8 milioni.

Il mormonismo è una confessione religiosa cristiana fondata da Joseph Smith. La componente maggioritaria è la Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni. Il termine mormonismo (e derivati: il sostantivo e aggettivo mormone) derivano da Mormon, nome del profeta a cui viene attribuito il Libro di Mormon, testo che Joseph Smith pubblicò nel marzo del 1830 dichiarando di averlo tradotto in inglese da una antica e sconosciuta lingua. L'epiteto di "mormone" fu coniato e utilizzato in maniera spregiativa dai primi detrattori del nuovo movimento religioso "restaurato" da Smith. In seguito, l'appellativo venne ufficiosamente accettato dai fedeli del nuovo movimento e ritenuto non più offensivo. Secondo i mormoni della Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni, il mormonismo è la letterale restaurazione dell'originale chiesa al tempo di Gesù con la pienezza del suo vangelo. Tuttavia, dal punto di vista del trinitarianesimo, il mormonismo si allontana significativamente dalla "corrente principale della cristianità. I seguaci del mormonismo sono circa 11 milioni nel mondo.





mercoledì 7 novembre 2012

IL GALLO DI ASCLEPIO

Amici miei ultraottantenni imparate a morire come seppe morire Socrate, secondo la testimonianza di Platone (i meno ignoranti rileggano - naturalmente nella traduzione italiana - il Fedone).
Voglio aiutarvi : ecco, in breve, il racconto.
Socrate trascorre serenamente, come di abitudine, la sua ultima giornata in compagnia dei suoi amici e discepoli dialogando di filosofia, in particolare affrontando il problema dell'immortalità dell'anima e del destino dell'uomo nell'aldilà.
Quindi si reca in una stanza a lavarsi per evitare alle donne il fastidio di accudire al suo cadavere. Poi torna in cella, saluta i suoi tre figlioli (Sofronisco, dal nome del nonno, Lamprocle e il piccolo Menesseno) e le donne di casa e li invita ad andarsene. Scende il silenzio nella prigione sino a quando giunge il messo degli Undici (il collegio dei magistrati che aveva istruito il processo) per annunciare a quel singolare prigioniero, così diverso dagli altri, come egli dice, per la sua gentilezza, mitezza e bontà, che è giunto il tempo di morire. L'amico Critone vorrebbe che il maestro, come hanno sempre fatto gli altri condannati a morte, rimandasse ancora l'ultima ora poiché non è ancora il tramonto, il tempo stabilito dalla condanna, ma Socrate: « È naturale che costoro facciano così perché credono d'aver qualcosa da guadagnare...[io] credo di non aver altro da guadagnare, bevendo un poco più tardi [il veleno], se non di rendermi ridicolo a' miei stessi occhi, attaccandomi alla vita e facendone risparmio quando non c'è più niente da risparmiare... ».
Giunto il carceriere incaricato della somministrazione della cicuta Socrate si rivolge a lui, poiché in questo "dialogo" è lui il più "sapiente", chiedendogli che cosa si deve fare e se si può libare a un qualche dio. Il boia risponde che basta bere il veleno che è della giusta quantità per morire e non è quindi possibile usarne una parte per onorare gli dei. Socrate allora dice che si limiterà a pregare la divinità perché gli assicuri un felice trapasso e, così detto, beve la pozione. Gli amici a questo punto si abbandonano alla disperazione ma Socrate li rimprovera facendo, lui che sta morendo, a loro coraggio: « Che stranezza è mai questa, o amici, Non per altra ragione io feci allontanare le donne perché non commettessero di tali discordanze. E ho anche sentito dire che con parole di lieto augurio bisogna morire. Orsù dunque state quieti e siate forti».
Il paralizzarsi e il raffreddarsi delle membra, divenute insensibili, dai piedi verso il torace, segnala il progressivo avanzare del veleno: « E ormai intorno al basso ventre era quasi tutto freddo; ed egli si scoprì - perché s'era coperto - e disse, e fu l'ultima volta che udimmo la sua voce: «O Critone, noi siamo debitori di un gallo ad Asclepio: dateglielo e non dimenticatevene!».

Nota dell'autore.
Le ultime parole di Socrate morente hanno dato luogo a varie interpretazioni da parte degli studiosi: quella più semplice e diffusa è che egli, che non vuole lasciare debiti irrisolti né con gli uomini né con gli dei, prega Critone di ringraziare per suo conto, sacrificandogli un gallo, il dio Asclepio (l'Esculapio per i romani) per avergli reso la morte indolore.
Sarò contento se ciascuno di voi farà tesoro di questa attenzione del grande filosofo e nel momento fatale disporrà l'nvio al mio domicilio di una soprassatella accompagnata da una mozzarellina di bufala.


lunedì 29 ottobre 2012

STORIA DELL' ESOTERISMO

1. Esoterismo (dal greco "eisotèo", "faccio entrare", "introduco") è un termine che indica le dottrine di carattere segreto i cui insegnamenti sono riservati agli iniziati ai quali è data la possibilità di accedere alla verità occulta, al significato nascosto delle cose, dei fatti, del conoscibile.
L'esoterismo è perciò una dottrina segreta, un'iniziazione, una spiegazione del mondo rivelata in un consesso scelto, isolato dall'esterno e dalla moltitudine e spesso tramandata in forma orale.

Esoterico (dal greco "esoterikòs") è aggettivo che indica ciò che è "dentro","interno, "nascosto", "riservato", in contrapposizione a exòterikos (ciò che è "esterno").
Va tuttavia segnalato che ogni autore di letteratura esoterica è detentore di una propria definizione del termine "esoterismo" (termine di coniazione piuttosto recente, dato che appare per la prima volta in una lingua moderna, il francese, nel 1828). Ognuno di essi indentifica l'esoterismo con una nozione particolare, dilatandone o restringendone il campo semantico a seconda delle proprie esigenze.
Nel linguaggio filosofico, il termine "esoterico" caratterizzò l'insegnamento riservato dagli antichi filosofi greci, specialmente da Pitagora e Aristotele, ai soli discepoli ammessi alle loro scuole, in contrapposizione ad exoterico, con il significato di "esterno", destinato cioè ai profani, ovvero a quanti non erano iniziati alla comprensione del linguaggio degli adepti. Exoteriche erano definite le lezioni della scuola peripatetica di più facile ascolto, da cui l'attributo passò poi alle opere aristoteliche destinate al grosso pubblico.

2. Storicamente il termine esoterismo si riferisce ai sacri misteri presenti in tutti i paganesimi. In Grecia esistevano i misteri eleusini, orfici e dionisiaci. Nell'impero romano si diffusero pure quelli di Mitra e Iside. Il centro dei misteri era l'iniziazione ovvero la liberazione dal corpo visto come prigione dell'anima.
Anche le religioni monoteiste si avvalsero di significati misterici, come lo gnosticismo nel cristianesimo, la cabala nell'ebraismo e il sufismo nell'Islam : essi credevano alla dottrina dell'ensomatosi e della preesistenza celeste dello spirito. Questo spirito considerato divino discendeva nel corpo e attraverso varie vite si purificava dal male fino a far ritorno alla patria celeste. Il buddhismo ancor oggi parla della discesa dei devas sul monte Meru e della loro progressiva materializzazione. Queste dottrine insegnavano che c'è una "scintilla divina" nell'uomo e che l'uomo è temporalmente limitato mentre la particella luminosa trascende il tempo :  è la non-consapevolezza che conserva quella scintilla nello stato illusorio umano mentre è la consapevolezza che la libera facendola divenire perfettamente cosciente. La resurrezione era parte del mito dei misteri per cui vi era la morte allo stato umano e la nascita allo stato divino.

3.  Per l'esoterismo esistono molte più cose in questo mondo, e nel sistema solare a cui appartiene, di quelle che gli scienziati suppongono, e non si tratta di qualcosa di esterno, ma interno. Esiste un mondo non visto, presente qui ed ora, non lontano da noi, che resta invisibile solamente perché la maggior parte di noi non ha ancora sviluppato i sensi necessari per poterlo percepire. Per coloro che hanno sviluppato questi sensi, questo mondo non è invisibile e tantomeno sconosciuto, ma è alla loro portata, e può essere esplorato, investigato e controllato, precisamente come si potrebbe esplorare qualsiasi area del nostro pianeta. Bisogna saperci entrare.
Secondo Omraam Mikhaël Aïvanhov (1900-1986) lo scopo dell'esoterismo o scienza iniziatica è quello di insegnarci a trasformare i nostri desideri inferiori e di entrare in comunicazione con il mondo divino per perfezionarci e aiutare tutta l’umanità. Certe scienze quali l'alchimia, la magia, l'astrologia e la cabala sono di difficile approccio e per capirle bene è consigliabile iniziare a studiarle nell'uomo, nelle sue attività quotidiane. Nel cibo troviamo l'alchimia, nella respirazione l'astrologia, nella parola e nel gesto la magia e nel pensiero la cabala. Lo studio dell'esoterismo, precisa questo autore, non può essere separato dalla vita quotidiana.

4. L'Iniziazione costituisce la via di entrata alla conoscenza esoterica.Tutte le iniziazioni caratteristiche delle grandi civiltà tradizionali, sia Occidentali che Orientali, hanno sempre avuto lo scopo di predisporre l’Adepto ad iniziare il suo cammino verso l’Illuminazione, cioè la liberazione dalla realtà empirica materiale con il conseguente superamento dello stato umano e l’identificazione con il Divino.
Sia che si parli delle iniziazioni dell’antica civiltà egiziana o di quelle delle religioni misteriche dell’antica Grecia o di quelle ermetico-alchemiche del nostro Medio-Evo o di quelle tipiche degli ordini cavallereschi medioevali o, ancora, di quelle dei Rosa-Croce o della Massoneria, solo per fare degli esempi, la cerimonia presenta sempre gli stessi stadi. Dapprima si ha la Morte rituale, con la discesa agli inferi, cioè il viaggio dell’Uomo nella profondità più oscura del proprio essere. Successivamente si ha la Resurrezione rituale, cioè la nuova nascita dell’Adepto.
Tutte le cerimonie di iniziazione fanno riferimento ad una Sapienza Primordiale estremamente antica, tramandata, nel corso dei millenni, da una catena ininterrotta di Adepti iniziati.
Ovviamente l’Iniziazione viene conferita solo a chi è ritenuto degno e scelto, nel momento opportuno, dall’Ordine iniziatico che la conferisce. La natura psichica del neofita deve essere tale da poter accogliere il trasferimento di contenuti iniziatici da parte della Comunità. Inoltre viene conferita solo ad individui di sesso maschile.
Il rito avviene in un luogo chiuso (tempio), ricco di simboli esoterici, ciascuno dei quali ha una precisa influenza sulla psiche dell’iniziando. Al Tempio possono accedere esclusivamente i membri dell’Ordine.
Gli officianti pronunziano formule e compiono azioni che si tramandano fin dai primordi dell’umanità.
Queste formule, insieme alle domande ed alle risposte del neofita, trascendono il loro significato, per assumere una valenza sopratutto spirituale.
Anche i comportamenti ed i gesti degli officianti sono rigorosamente codificati ed hanno lo scopo di trasmettere alla psiche all’iniziando ciò che non si può trasmettere con le semplici parole. Lo stesso fine hanno gli oggetti sacri usati nella cerimonia.
All’inizio del rito avviene lo smarrimento e la sospensione del Sè del neofita, che ha la sensazione di trovarsi smarrito tra le tenebre: egli anticipa l’esperienza della Morte e spesso si verificano spavento, tremore, sudore ed angoscia. Successivamente egli ha la sensazione che una meravigliosa luce gli venga incontro: a questo punto egli è rinato a nuova vita.
Con l’iniziazione, l’adepto si distacca da una realtà a lui nota e vissuta e si dispone ad una trasformazione interiore entrando spiritualmente in una nuova dimensione.
Con l’Iniziazione, l’individuo non raggiunge certo l’Illuminazione, ma entra in una dimensione dalla quale può iniziare il cammino.
Una volta entrato in un Ordine Iniziatico, l’adepto verrà istruito sulle conoscenze segrete gradualmente. Ogni passaggio ad un grado superiore dell’Ordine, sarà caratterizzato da una nuova particolare iniziazione.
Anche se l’appartenenza ad un Ordine Esoterico, con le sue successive iniziazioni, facilita enormemente il cammino dell’adepto verso l’Illuminazione, questa appartenenza non è una condizione indispensabile per raggiungere il traguardo.
Un esempio illustre di quanto detto è rappresentato dal principe Gautama Siddharta che raggiunse l’Illuminazione, diventando un Buddha, con il suo proprio sforzo.
Esistono forme di Iniziazione anche al di fuori degli ordini tradizionali. Un esempio per tutte è il battesimo impartito dalla Chiesa Cattolica: anche se il Battesimo è ormai amministrato da una istituzione che non ha ormai più la minima idea di cosa significhi questo sacramento, ha ancora una debole valenza iniziatica sull’individuo che lo riceve.

5. Il filosofo-occultista Rudolf Steiner, fondatore della antroposofia (una via della conoscenza che vuole condurre lo spirituale che è nell'uomo allo spirituale che è nell'universo)  elaborò una serie di sei esercizi come disciplina interiore preparatoria allo sviluppo delle facoltà superiori umane. Esercizi studiati per creare un perfetto equilibrio pensare-sentire-volere, essenziali per avvicinarsi alle pratiche esoteriche con un'adeguata preparazione e crescita interiore in modo da poterne cogliere tutti i benefici e da limitarne al minimo i possibili rischi. Secondo Steiner non si possono dare facoltà a un essere umano: si possono soltanto far sviluppare quelle che già ci sono in lui e che non si sviluppano spontaneamente a causa degli ostacoli esteriori e interiori che incontrano. Gli ostacoli si superano attraverso le particolari indicazioni date sulla cncentrazione. meditazione, eccetera.
Il pimo esercizio di Stainer consiste nel conquistare un pensiero perfettamente chiaro. A questo scopo bisogna liberarsi - almeno per un breve momento della giornata, anche per cinque minuti (ma più il tempo è lungo, meglio è) - dei pensieri che si muovono come fuochi fatui. Bisogna diventare padroni del mondo dei propri pensieri. Non se n'è padroni fin quando un condizionamento esteriore (la professione, una tradizione qualsiasi, le condizioni sociali, il fatto stesso di appartenere a un certo popolo, il momento della giornata, certi gesti che noi compiamo) ci detta un determinato pensiero e il modo stesso di svolgerlo. Durante quel breve momento di cui si è detto, con una volontà del tutto libera, dobbiamo svuotare la nostra anima del corso abituale e quotidiano dei pensieri e - di nostra propria iniziativa - porre un pensiero al centro della nostra anima. Non è necessario credere che debba essere un pensiero eccezionale o di particolare interesse. Dopo essersi esercitati così per un mese circa, ci si ponga un ulteriore proposito. Si tenti di immaginare una qualsiasi azione, che secondo il corso abituale delle proprie occupazioni non ci si sarebbe certamente mai proposti di compiere. Di questa azione si faccia di per sé un dovere quotidiano. Come azione da eseguire sarà bene scegliersi un'azione che possa essere compiuta ogni giorno per una durata più lunga possibile. Anche qui è meglio cominciare con un'azione insignificante, che occorre, per così dire, sforzarsi di compiere: per esempio, ci si può proporre di andare ad innaffiare in un preciso momento del giorno una pianta che si è acquistata. Dopo un certo periodo, a questa prima azione se ne deve aggiungere una seconda, poi una terza, eccetera, sempre che il compimento di tutti gli altri doveri ne offri la possibilità. Anche quest'esercizio deve essere eseguito per un mese. Durante questo secondo mese, tuttavia, bisogna il più possibile perseverare nell'esecuzione del primo esercizio, pur non facendone un dovere quasi esclusivo come nel primo mese. Non bisogna perderlo di vista: altrimenti ci si accorgerebbe ben presto che i frutti del primo mese si sono persi e che è ricominciato il solito vagare dei pensieri non controllati. Una volta acquisiti questi frutti, bisogna pertanto badare a non perderli. Dopo aver fatto esperienza di una tale azione scelta di propria iniziativa e compiuta come secondo esercizio, si prenda coscienza, attraverso un'attenzione sottile, del sentimento di impulso interiore verso l'agire, destatosi nell'anima e lo si riversi, per così dire, nel proprio corpo in modo da farlo discendere o fluire dalla testa al cuor
Il terzo esercizio che va posto al centro della vita durante il terzo mese è l'educazione a una certa equanimità di fronte alle oscillazioni tra piacere e dolore, gioia e sofferenza; la contrapposizione "esultanti di gioia e tristi fino alla morte" deve far posto, attraverso uno sforzo cosciente, a un'equanimità dell'anima. Si faccia attenzione al fatto che nessuna gioia ci faccia perdere la testa, che nessuna sofferenza ci schiacci, che nessuna esperienza vissuta ci trascini verso l'eccitazione o la collera smisurate, che nessuna attesa ci riempia di timore e di angoscia, che nessuna situazione ci faccia perdere il nostro equilibrio, eccetera.

Non si tema, con questo esercizio, di far inaridire o impoverire l'anima; si noterà, al contrario, che grazie a questo esercizio, al posto di ciò che di solito si avverte sorgono qualità pure; soprattutto, attraverso un'attenzione sottile, si potrà scoprire in sé, nel proprio corpo, una condizione di calma interiore; si riversa questa calma nell' organismo - come nei due casi precedenti - facendola irraggiare dal cuore verso le mani, i piedi e infine la testa.
Nel quarto mese occorre seguire come nuovo esercizio quello chiamato "della positività". Esso consiste nel ricercare costantemente in tutti gli esseri, in tutte le cose, in tutte le esperienze, ciò che di buono, di bello, di eccellente vi è contenuto. Ciò che meglio definisce questa qualità dell'anima è una leggenda persiana sul Cristo Gesù. Camminava lungo una via con i suoi discepoli, quando videro sul ciglio della strada, il cadavere di un cane in uno stato già avanzato di decomposizione. Di fronte a quel raccapricciante spettacolo i discepoli volsero lo sguardo dall'altra parte; solo il Cristo si fermò, guardò il cane con aria pensosa e disse:"Che bei denti aveva questo animale!". Dove gli altri avevano visto soltanto una realtà ripugnante e sgradevole, egli vedeva il bello. Così il discepolo dell'esoterismo deve sforzarsi di cercare in ogni fenomeno e in ogni essere ciò che vi è di positivo. Noterà ben presto che sotto la coltre della ripugnanza si nasconde una certa bellezza; che sotto le sembianze di un criminale si nasconde qualcosa di buono; sotto le sembianze di un pazzo si cela in qualche modo un'anima divina. Questo esercizio si accosta a ciò che si chiama "astenersi dalla critica". Non bisogna interpretare ciò come se si dovesse denominare nero il bianco e bianco il nero. Ma c'è una differenza tra un giudizio che nasce soltanto dalla reazione personale o dall'impressione personale di simpatia o antipatia e una tutt'altra attitudine secondo la quale ci si immerge con amore nel fenomeno o nell'essere che ci è dinanzi, chiedendosi ogni volta:"Com'è giunto a essere ciò che è, a fare quel che ha fatto?". Questa attitudine spinge, del tutto spontaneamente, a sforzarsi di aiutare ciò che è imperfetto, piuttosto che biasimarlo o criticarlo soltanto. E' priva di valore l'obiezione che, in molte circostanze della vita umana, è necessario biasimare e giudicare, perché in ogni caso queste condizioni di vita sono tali da impedire di seguire una vera disciplina occulta. Esistono, in effetti, numerose condizioni di vita che non consentono di seguire correttamente questa disciplina. In questo caso non bisogna voler conseguire con impazienza, nonostante tutto, quei progressi che si possono realizzare soltanto in certe condizioni. Chiunque abbia rivolto per un intero mese la sua attenzione al lato positivo di tutto ciò che incontra noterà a poco a poco che nella sua interiorità affiora un sentimento che gli dà l'impressione che la sua pelle divenga permeabile in tutte le direzioni e che la sua anima si apra vastamente a tutti quei fatti segreti e sottili che gli si svolgono attorno e che prima fuggivano del tutto alla sua attenzione. Si tratta proprio di combattere contro la mancanza di attenzione che esiste in tutti di fronte a questi fatti sottili. Una volta osservato che questo sentimento si manifesta nell'anima sotto forma di felicità, si cerchi di dirigere questo sentimento, come fosse un pensiero, verso il cuore, di farlo fluire di là verso gli occhi e da questi ultimi verso l'esterno, nello spazio di fronte a sé e attorno a sé. Si noterà che si acquista così un'intima relazione con lo spazio. Si va oltre se stessi, ci si dilata, per così dire. Si impara a considerare una parte del proprio ambiente come qualcosa che fa anche parte di se stessi. Questo esercizio richiede una buona dose di concentrazione e soprattutto il riconoscimento di un fatto: ogni moto passionale dell'anima, ogni tempesta emotiva, distrugge da cima a fondo questa attitudine dell'anima. Si ripetano gli esercizi già praticati come si è indicato per i mesi precedenti.

Al quinto mese si cerchi di coltivare in sé il sentimento di "spregiudicata apertura" nell'affrontare ogni nuova esperienza. Generalmente la reazione è la seguente:"Ecco qualcosa che io non ho ancora inteso dire, che non ho mai visto: non ci credo, è un'illusione". Il discepolo dell'esoterismo deve decisamente desistere da questa attitudine. Deve essere pronto in ogni momento ad accettare di fare un' esperienza nuova. Ci. che in precedenza ha riconosciuto come normativo o che gli si presentava come possibile non deve essere un ostacolo che gli impedisca di accogliere una nuova verit.. Se gli si viene a dire (benché questo esempio sia un po' forzato, è valido): "Senti, da ieri sera il campanile di San XXX si è inclinato", il discepolo dell'esoterismo deve lasciare la porta aperta alla possibilità di credere che la conoscenza delle leggi naturali da lui finora acquisita possa, nonostante tutto, arricchirsi di un fatto di questo genere, apparentemente inaudito. Chi durante il quinto mese rivolga la sua attenzione a una tal modo di essere noter. che nella sua anima affiora un sentimento che gli dà l'impressione che nello spazio - quello di cui si è parlato per l'esercizio del quarto mese - qualcosa divenga vivente, che qualcosa in questo spazio si metta in movimento. Questo sentimento è straordinariamente sottile e delicato. Occorre tentare di cogliere attentamente questa sottile vibrazione nello spazio circostante e farne, per così dire, penetrare il flusso attraverso i cinque sensi, soprattutto attraverso gli occhi, le orecchie e la pelle, nella misura in cui questa possiede il senso del calore. A questo gradino del cammino esoterico, si applica minore attenzione alle impressioni destate dai fenomeni sui sensi inferiori, cioè il gusto, l'odorato e il tatto. Non è ancora possibile, a questo gradino, discernere le influenze positive che si incontrano in questo ambito dalle numerose influenze negative che vi si mescolano. Meglio rimandare questo lavoro a un gradino più avanzato.
Nel sesto mese si tenti di fare e di rifare sempre i cinque esercizi in modo sistematico, secondo un ritmo, una regolare alternanza. Il risultato sarà che a poco a poco un bell'equilibrio si forma nell'anima. Si noter. soprattutto che il malcontento che si provava forse di fronte a certi fatti o a certi esseri scompare del tutto. In noi viene a regnare una disposizione interiore che concilia tutte le esperienze, che armonizza tutti gli eventi; questa disposizione non ha assolutamente nulla in comune con l'indifferenza, al contrario, essa consente di operare nel mondo per migliorarlo e farlo evolvere. Nell'anima si fa strada una calma comprensione verso cose che prima le erano completamente impenetrabili. Anche l'andatura e i gesti dell'uomo si trasformano sotto l'influenza di questi esercizi; e se un giorno si nota che anche la scrittura ha assunto un altro stile, allora si può dire che si . sul punto di raggiungere il primo gradino del cammino verso l'alto.

6. A partire dal secondo dopoguerra gli storici delle religioni iniziarono a prendere in esame i diversi ambiti della tradizione esoterica occidentale, fino ad allora ignorata dalla ricerca accademica.
Vennero così forniti contributi scientifici di rilievo, grazie ai quali si inizia ad apprezzare l'importanza quantitativa e qualitativa del corpus esoterico occidentale. Tra i maggiori artefici di questa svolta si devono menzionare Mircea Eliade per l'alchimia e lo sciamanesimo (Le Chamanisme et les techniques archaïques de l'extase, Paris, 1950; Forgerons et alchimistes, 1956), Gershom Scholem per la cabala ebraica (Major Trends in Jewish Mysticism, 1941), François Secret per la cabala cristiana (Les Kabbalistes chrétiens de la Renaissance, 1964), Frances Yates per l'ermetismo e il neoplatonismo del Rinascimento (Giordano Bruno and the Hermetic Tradition, 1964; The Occult Philosophy in the Elizabethan Age, 1979), Alexandre Koyré per la mistica e la teosofia tedesche (Mystiques, spirituels, alchimistes du XVIe siècle allemand, 1970), Charles Puech per lo gnosticismo e il manicheismo.
Tale fioritura di studi rese necessaria la creazione di una disciplina scientifica nuova, che si facesse carico di studiare l'esoterismo occidentale in quanto fenomeno storico-religioso a sé stante.
Nel 1992 Antoine Faivre, titolare della cattedra di "Storia delle correnti esoteriche nell'Europa moderna e contemporanea" all'EPHE (Ecole Pratique des Hautes Etudes) di Parigi, ha proposto la prima definizione storico-religiosa della nozione di esoterismo. Secondo Faivre, il quale metodologicamente circoscrive la sua analisi all'ambito delle correnti moderne e contemporanee dell'Occidente, è esoterica ogni dottrina e forma di pensiero che si basi sui quattro principi seguenti:
a) l'esistenza di una corrispondenza analogica tra il microcosmo e il macrocosmo (l'essere umano e l'universo sono l'uno il riflesso dell'altro);
b) l'idea di una natura viva, animata;
c) la nozione di esseri angelici, di mediatori tra l'uomo e Dio, ovvero di una serie di livelli cosmici intermedi tra la materia e lo spirito puro;
d) il principio della trasmutazione interiore.
Sotto la direzione di Faivre la cattedra prese il titolo di “Storia delle correnti esoteriche e mistiche nell’Europa moderna e contemporanea”. Nel 2002, con l’arrivo all’EPHE di Jean-Pierre Brach, il termine “mistiche” fu soppresso, e l’esoterismo divenne l’unico oggetto di studio della disciplina, i cui quadri concettuali portanti erano stati precedentemente definiti da Faivre in alcune importanti pubblicazioni. La fecondità di tale indagine scientifica è confermata dalla creazione di numerose cattedre in altri paesi, tra cui quella di Amsterdam (1999) e quella di Exeter in Inghilterra (2006).













































giovedì 28 giugno 2012

ATTENTO ALLE REGOLE (Lettera al nipote)

Carissimo, ti parlai del senso della vita, dello scopo della vita e del mestiere di vivere, postulati essenziali del discorso che mi accingo a fare. Ora, per entrare nel vivo di questo discorso, devo parlarti delle “regole”. 
Attento. Non appena scenderai in campo per giocarti la partita della vita, avendo scelto e stabilito gli obiettivi desiderati, ti imbatterai in una montagna di regole con le quali dovrai fare i conti. Ragazzo, la comunità in cui viviamo è un grosso edificio che poggia su un complesso sistema di principi morali e pratici tradotti in stringenti precetti comportamentali. Davanti a questo sistema, dovrai affrontare un grande dilemma : uniformarti al sistema e rispettarne i precetti o ignorare i pesanti vincoli e gli onerosi doveri che esso comporta, privilegiando l’eccitante carpe diem di cui sappiamo?

Ascolta, voglio svelarti come io stesso, posto davanti al prefato dilemma, optai, non senza qualche rischiosa esitazione, per il corno meno puntuto e più rassicurante (ogni dilemma è biforcuto!). Accadde, infatti, che il buon senso di cui madre natura mi aveva dotato ed il senso comune acquisito attraverso una buona educazione familiare e religiosa mi suggerirono il criterio di scelta del “ccà nisciuno è fesso”, sapendo : a) che il “fesso” è lo stupido che si complica la vita remando controcorrente o che, addirittura, se la brucia per il gusto di fare del futile protagonismo trasgressivo; b) che, sulla banda opposta, sta il “cazzimmoso” (aggettivo sostantivato in uso nella lingua napoletano con il significato di “egocentrico”, “opportunista”, “smaliziato”, “competitivo”, “cattivello dotato di acume” (1)), cioè colui che non volendo restare al palo nella corsa al benessere, alla sicurezza ed alla felicità si “adatta” al sistema e fila diritto verso i suoi traguardi. Con ciò non voglio avviarti alla “cultura del conformismo”, cioè alla tendenza a uniformarti passivamente ad opinioni, usi e comportamenti già definiti in precedenza e politicamente o socialmente prevalenti; in altri termini, a soggiacere acriticamente alle regole di uso comune. Lo spirito di adattamento o di adeguamento che supporta il cazzimmoso è tutt’altra cosa : è l’intelligenza di capire che l’utilità personale viene prima dell’ ideologia dell’anticonformismo, cioè di quel voler essere sempre “fuori” e “al di sopra” delle idee normalmente condivise dalla maggioranza. Per altro, è stato ben detto che “L’anticonformismo a tutti i costi crea un conformismo – il conformismo dell’anti-conformismo – molto più oppressivo e massificante di quello che si suole combattere” (2). Dammi retta, segui il mio esempio, visto che non me n’è venuta male. Ma se non bastassero le mie considerazioni con annesse rassicurazioni, sappi che secondo il pensiero del fondatore dell’edonismo etico, il movente che determina e guida le nostre azioni è il conseguimento della massima felicità, ovvero del massimo benessere personale e generale, in vista del quale non è possibile agire ignorando le conseguenze dei propri atti e le particolari circostanze in cui ci si muove; è, anzi, moralmente doveroso valutare le caratteristiche fattuali delle situazioni in cui si opera. Il che significa che l’individuo deve avere la capacità di adattare la propria azione alla realtà del mondo esterno ed è perciò eticamente legittimo che si comporti con quella duttilità e quell’egoismo (quest’ultimo inteso come il self-love inglese, come “amore di sé”) che gli permettono di perseguire il maggior utile possibile (3).

Frattanto, sarà bene fornirti qualche ragguaglio sull’origine delle regole. La regula (dal latino regere, “dirigere”) era il “regolo”, l’asticella di legno usata per tracciare linee dritte : di qui il significato di “norma” (dal latino norma, “squadra”), cioè, figurativamente, di “precetto", morale o giuridico o tecnico, riferibile ad una formulazione imperativa. Presso i Greci lo stesso concetto era espresso dalla parola nòmos, che significò “convenzione” e, poi, “legge scritta”. Perciò, ragazzo, quando qui si parla di regole ci si riferisce a quei principi che stabiliscono le “rette linee comportamentali” che gli individui devono seguire in determinati ambiti di vita.

Nel mito di “Ercole al bivio”, raccontato da Prodico il sofista, la donna virtuosa, antagonista della spudorata adescatrice che invitava il nerboruto viandante a percorrere la strada dei facili piaceri, espone al nostro eroe le regole cui avrebbe dovuto obbedire intraprendendo il giusto ma faticoso sentiero che gli indicava : “Se vuoi che gli dei ti siano propizi devi venerarli; se desideri che gli amici ti amino devi far loro del bene; se brami di essere onorato dalla tua città devi esserle utile; se vuoi che la terra ti produca frutti abbondanti la devi coltivare…” (4).

Quando il monachesimo cristiano (dal greco monos, “solo”, e monachòs, “solitario”) passò dalla fase dell’ascetismo (dal greco askesis, “esercizio spirituale”), cioè dalla fase dell’allontanamento dai parenti e dagli amici per vivere in solitudine nella meditazione e nella contemplazione di Dio, a quella del cenobismo (dal greco koinòs, “comune” e bìos, “vita”), cioè alla pratica della vita comunitaria nei monasteri, i “Maestri” fissarono le “Regole” con le quali organizzarono la vita dei singoli aggregati religiosi, disciplinando con severa obbligatorietà gli orari giornalieri del lavoro, della preghiera, dei pasti, della penitenza (dalle “Regole” fissate da San Benedetto, San Francesco, San Domenico, ecc., una volta approvate dai Vescovi o dai Pontefici, presero appunto vita gli Ordini denominati Benedettino, Francescano, Domenicano, ecc.) (5).

La storia insegna che gli uomini per vivere in comunità ebbero bisogna di darsi delle regole di condotta. Al fine di rendere possibile la pacifica e ordinata convivenza associativa gli uomini dovettero subito stabilire i limiti del loro agire individuale, di modo che ciascun membro della comunità sapesse quel che poteva o non poteva fare.

Come è noto, la prima spinta verso l’aggregazione gli uomini la ricevettero quando si accorsero della loro debolezza di fronte alla natura e della loro difficoltà a vivere isolatamente : essi, in effetti, si resero conto che “L’individuo non basta a se stesso” (6) e che “La vita solidale di gruppo può meglio realizzare i mezzi di sopravvivenza” (7). Nel corso dei secoli, dalle spontanee comunità primitive (“famiglie”, “clan”, “tribù”, “fratrie”) si passò a forme sempre più evolute ed articolate di vita associata (“città-stato”, “regni”, “principati”), dove la forza aggregante scaturì dal senso di appartenenza ad uno stesso territorio e ad una medesima tradizione culturale e dove i vincoli di solidarietà presero a rinsaldarsi intorno allo scambio di beni e servizi. Infine, si arrivò alle forme più moderne di società, fondate su basi contrattualistiche (8). Comunque, man mano che le comunità crebbero per numero di individui e per strutture organizzative, parallelamente l’insieme delle regole che le governava assunsero le caratteristiche di veri e propri sistemi normativi: da qui il brocardo latino, risalente alla Roma repubblicana, “Ubi societas ibi ius” (“Dove c’è una società, lì c’è il diritto”), con il quale si volle affermare il principio che la convivenza civile non può prescindere dalla esistenza di un complesso di norme idonee a disciplinare i rapporti degli individui tra loro e con l’autorità che li governa (9). Già Plauto aveva osservato che senza convivenza civile “lupus est homo homini” (“l’uomo è un lupo per l’uomo”) (10); e, molto tempo dopo, in sintonia con lui, Hobbes aveva considerato che senza un patto consociativo, in virtù del quale gli uomini rinunciano ad una parte dei loro diritti naturali, si ritorna alla condizione di vita del “Bellum omnia contra omnes” (“La guerra di tutti contro tutti”) (11).

Ma come si imposero le regole che resero possibile la pacifica e ordinata convivenza degli uomini? Le scoperte archeologiche e gli studi di alcuni pittogrammi hanno dimostrato che nelle comunità preistoriche il “capobranca” impartiva gli ordini per la caccia e poi spartiva la preda. Quindi, un soggetto dominante per forza, per carisma o per anzianità lanciava i comandi e, in un certo qual modo, regolava la vita ferina del gruppo (12). In seguito, con l’allargamento del gruppo e con il suo progressivo incivilimento, quei comandi furono diretti a disciplinare tutti gli aspetti della vita associata e si consolidarono in consuetudini di condotta (abitudini, usi, costumi) che, impregnate di magia e religione, venivano tramandate oralmente di generazione in generazione. In ultimo, con il costituirsi di veri e propri corpi sociali politicamente organizzati, all’azione regolatrice della tradizione orale si aggiunse, grazie all’avvento della scrittura, quella della “norma scritta”, ossia della “legge” : ciò segnò la nascita del "diritto positivo", con la cui espressione si intende una totalità di “regole legali” la cui vigenza non è affidata alla memoria della tradizione, bensì alla “pietra” o alla “tavola” di cera o di metallo su cui in origine venivano incise. Per altro, la materializzazione delle regole di condotta in atti scritti (“leggi”, “decreti”, “editti”, “epistole”, “rescritti”) costituì la risposta che i diversi assetti politico-sociali dettero, da una parte, all’esigenza delle popolazioni di ottenere la “certezza del diritto”, per porre fine agli abusi interpretativi delle norme consuetudinarie praticati dai detentori del potere; dall’altra, all’esigenza dei ceti dominanti di rafforzare la loro posizione di supremazia mediante la promulgazione di leggi intese a comprimere le libertà tradizionali delle genti. Ad esempio, le leggi di Dracone, considerato il primo legislatore ateniese, ebbero lo scopo di scoraggiare la commissione di ogni crimine che potesse minare l’ordine aristocratico della città (egli abolì la “vendetta personale”, fino ad allora praticata secondo l’uso consuetudinario); e Licurgo mise fine alle lotte intestine che travagliavano la Sparta dell’VIII secolo a.C. con l’approvazione di un ordinamento politico e sociale fortemente restrittivo della vita privata (è notevole che, al fine di formare cittadini di forti qualità morali e fisiche, l’educazione dei fanciulli a partire dai sette anni veniva sottratta alla famiglia ed affidata a strutture pubbliche) (13).

Va, tuttavia, ricordato che, nonostante il subentrare delle leggi scritte, le norme consuetudinarie continuarono a svolgere una profonda incidenza nella vita comuni-taria dell’antichità, tant’è che quando la legge scritta si pose in antitesi con i precetti fondamentali della tradizione se ne invocò la ingiustizia e la disapplicazione, in quanto contraria alla legge divina o di natura (14). Nell’ “Antigone” di Sofocle, Creonte, il re di Tebe, è costretto, in nome della legge divina che imponeva il dovere di seppellire i morti, a disattendere la legge della città che gli vietava di dare sepoltura al traditore Polinice (15). In effetti, bisognerà aspettare il sorgere degli Stati Nazionali per assistere, dal XV secolo in poi, alla completa “razionalizzazione” del diritto ed alla netta distinzione tra norma scritta e norma consuetudinaria (16).

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(1) Pino Imperatore : “De vulgari cazzimma”.

(2) Massimo Fini : “Il conformista. Contro l’anticonformismo di massa”.

(3) Henry Sidgwich : “Il metodo dell’etica”.

(4) Senofonte : “Memorabili”.

(5) Gregorio Penco : “Il monachesimo”.

(6) Aristotele : “Politica”.

(7) Emile Durkheim : “La divisione del lavoro sociale”.

(8) Ferdinand Tonnies : “Comunità e società”.

(9) Gennaro Franciosi : “La famiglia umana. Società e diritto”.

(10) Plauto : “Asinaria”, V.

(11) Thomas Hobbes: “Leviatano”.

(12) Louis Renè Nougier : “La famiglia umana. Società e diritto”.

(13) Aldo Schiavone : “L’invenzione del diritto in Occidente. Diritto e forma  specifica del disciplinamento sociale”.

(14) Guido Fassò : “Diritto naturale e storicismo”.

(15) Giovanni Cerri : “Legislazione e tragedia greca”.

(16) Mario Ascheri : “Introduzione storica al diritto moderno e contemporaneo”.







martedì 26 giugno 2012

OMAGGIO AL PADRE SOLDATO

Nell'articolo "L'artiglieria italiana negli Anni Venti", pubblicato sul portale di storia militare “icsm.it”, il redattore ci informa diffusamente sulle carenze qualitative e quantitative della nostra artiglieria nella Prima Guerra Mondiale, sia a livello di armamenti che a livello di personale militare di comando. Egli scrive che "La guerra mise in luce la scarsità e la mediocrità del materiale a disposizione ed in particolare la mancanza di bocche da fuoco campali leggere a tiro curvo" e che "L'artiglieria fu l'unica tra le armi combattenti ad iniziare il conflitto con una carenza di ufficiali subalterni alla quale si fece fronte con ufficiali di cavalleria destinati ad incarichi non tecnici", aggiungendo che "Con l'aumento delle batterie e la necessità di nuovi quadri i criteri di selezione furono resi meno rigorosi e gli standard qualitativi necessariamente abbassati". Dall'articolo si ricava che soltanto dopo la fine della guerra iniziò un vero processo di ammodernamento e di potenziamento dell'Arma, il che ci indurrebbe a credere che il contributo da essa dato alla vittoria fu di poca importanza.

Tali assunti non concordano pienamente con altre fonti storiche. Ad esempio, nel libro "L' artiglieria italiana nella Grande Guerra", a cura di Curami A. e Massignani A., Editore Rossato 1998, si legge che "All'inizio della guerra la maggior parte dell'artiglieria impiegata era del tipo leggero e di accompagnamento della fanteria, poichè i vertici militari avevano pensato di dover affrontare una guerra di movimento di breve durata. Quella che invece si rivelò una guerra di trincea e di posizione impose il rafforzamento dell'artiglieria pesante e di montagna, l'adeguato munizionamento della stessa, la riorganizzazione del trasporto del materiale bellico, il conforme aggiornamento tecnico, strategico e tattico dei comandanti di Corpi d'Armata. Il miracolo si compì entro il mese di marzo 1918!". D'altronde, lo stesso articolista non può fare a meno di annotare, riportando il pensiero del Generale Cadorna, che "Le operazioni di attacco della fanteria furono paralizzate dalla grande penuria di 'potenti' artiglierie' ". La quale affermazione dimostra che in principio non già di bocche da fuoco leggere si sentì la mancanza, bensì di pezzi pesanti. Ma, soprattutto, le sue informazioni non concordano con quanto mi raccontava con fierezza ed orgoglio mio padre, classe 1896, che fu artigliere nel 33° Reggimento di stanza sui dorsali e sulla cima del Monte Grappa e che partecipò alla cosiddetta Battaglia di Arresto del novembre-dicembre 1917 ed alla Battaglia del Solstizio del giugno 1918; battaglie nelle quali, grazie all'ottima preparazione degli ufficiali ed al grande spirito di sacrificio dei soldati addetti alle batterie dei cannoni da 149 mm. e degli obici da 150 mm., il Regio Esercito Italiano riscattò il rovescio di Caporetto e volse a suo favore le sorti della guerra.

Cicerone nel "De oratore" ammonisce che "La storia deve essere testimone dei tempi e della verità". E la verità, quella intera, è che l' Arma di Artiglieria contribuì in misura determinante al successo finale delle nostre truppe, sì da meritare la Medaglia d'Oro al Valore Militare con la seguente motivazione: "Sempre ed ovunque con abnegazione prodigò il suo valore, la sua perizia, il suo sangue, agevolando alla fanteria, in meravigliosa gara di eroismo, il travagliato cammino della vittoria per la grandezza della patria".























































giovedì 17 maggio 2012

NON UCCIDIAMO LA STORIA

L'insigne storico Emilio Bonaiti mi ha comunicato che si accinge a scrivere qualcosa sul fenomeno del "brigantaggio", esploso nell'Italia meridionale all'indomani della unificazione politica della penisola. Gli do volentieri una mano suggerendogli di non dirottare dalle seguenti linee-guida, a mo' di veri e propri capisaldi storici.

1. Il termine brigantaggio designa genericamente l'attività criminosa di bande fuorilegge che attentano a mano armata alla vita ed alla proprietà altrui. Brigante è sinonimo di grassatore. Ma questa accezione non rispecchia esattamente il fenomeno che si manifestò nel Mezzogiorno d'Italia all'indomani della spedizione dei Mille.

2. Il fenomeno del brigantaggio nell'Italia meridionale ebbe cause socio-economiche antiche, siccome connaturato alla vita di un mondo povero e depresso che i poteri politici non avevano mai efficientemente combattuto e che anzi avevano spesso utilizzato, come durante la reazione sanfedista che si verificò nel Regno di Napoli nel 1799.

3. Dopo la sconfitta del Borbone, cause nuove attizzarono il fenomeno antico facendogli acquistare proporzioni preoccupanti, e cioè : a) il malcontento dei sostenitori del vecchio regime e la presenza di numerosi militari dell'esercito borbonico che si erano sottratti all'assimilazione nell'esercito italiano; b) l'orientamento reazionario di certa grande proprietà agricola insofferente dei metodi fiscali imposti dal nuovo governo; c) il ribellismo contadino e popolare determinato dall'introduzione da parte dello Stato Italiano delle tasse sul pane e sul sale, nonchè della leva militare obbligatoria; d) l'antiunitarismo dello Stato Pontificio (il Papa favorì la cospirazione organizzata dalla corte e dall'alta borghesia fedele a Francesco II in esilio a Roma).

4. Nell'estate del 1861 il movimento brigantesco fu in grado di dominare tutto il Mezzogiorno e di estendersi alla Sicilia. Le bande dei briganti, formate da veri e propri avventurieri inclini al furto ed alla rapina, da contadini cacciati dai campi dalle loro disperate condizioni di vita, da militari dell'ex esercito borbonico e da legittimisti italiani e stranieri colpivano i notabili liberali,  imponevano taglie e ricatti, incendiavano gli archivi degli uffici delle imposte e degli uffici di leva. I ribelli venivano considerati dalle popolazioni locali veri eroi e venivano spontaneamente accolti, ospitati e nascosti.

5. La risposta dei governanti e dell'autorità militare fu quella della repressione, con episodi di estrema crudeltà. Già nel 1860 era stata avviata un'azione di repressione guidata dal generale E. Cialdini il quale fu però tenuto in scacco dai briganti che utilizzavano la tecnica della guerriglia. Soltanto verso la fine del 1861 la repressione cominciò a dare qualche risultato : Josè Borges, un vecchio ufficiale spagnolo, chiamato in Italia dai borbonici per coordinare le bande, fu catturato e fucilato. Nel 1863 la Camera del Regno d'Italia elesse una Commissione d'inchiesta presieduta dal pugliese Giuseppe Massari la quale indagò con accuratezza sulle cause sociali del brigantaggio e suggerì i rimedi e le necessità immediate per la restaurazione dell'ordine. Fu allora approvata una legge eccezionale (la legge Pica) che pose in regime militare ed in stato d'assedio quasi tutta l'Italia meridionale, con eccezione delle province di Napoli, Teramo e Reggio Calabria. L'utilizzazione in forma massiccia dell'esercito (120.000 uomini sotto il comando del generale E. Pallavicini di Priola) portò nel 1865 all'uccisione di 5000 briganti ed alla sconfitta del brigantaggio.

6. Il brigantaggio rimase in forma endemica nelle campagne del Meridione fino al 1870.

mercoledì 21 maggio 2008

L' ETA' MODERNA

Nel Seicento la svolta decisiva dal Rinascimento all'Età Moderna è impressa dal pensiero di Renè DESCARTES. La filosofia cartesiana (1) è fondata su una precisa definizione che il filosofo dà della ragione : "La ragione è la facoltà di distinguere il vero dal falso". E per conoscere la verità la ragione deve servirsi del metodo che egli stesso propone, fondato su quattro principi : a) il dubbio metodico (mai accettare come vero se non ciò che si presenta in modo chiaro e distinto); b) l' analisi (scomposizione di ogni problema nei suoi elementari); c) la sintesi (ricomposizione delle verità elementari in verità complesse); d) la enumerazione (rassegna delle verità trovate per verificare se si concatenino fra loro senza lasciare lacune).
Rifiutando qualsiasi certezza aprioristica, dubitando di tutto, ponendo il principio del dubbio universale Cartesio procede verso un nuovo processo di conoscenze che si presentano con assoluta certezza. Tre sono i termini cui rivolge il suo dubbio metodico: la esistenza di Dio, la esistenza del mondo, la esistenza di noi stessi. Ma, siccome dubitare significa pensare, siccome il pensiero esiste per il fatto stesso che pensa, essere e pensiero sono identici : dunque, cogito ergo sum; dunque, dell'esistenza di noi stessi non possiamo dubitare. Sulla base di questa prima verità il filosofo risale alla certezza dell'esistenza di Dio. La identità di essere e pensiero è stata trovata in seguito ad un dubbio, cioè in seguito ad una nostra imperfezione (il dubbio, appunto) ed a questa imperfezione abbiamo sostituito un perfezione, cioè la certezza. Perciò, se vi è in noi la conoscenza di una perfezione, da dove essa è stata attinta? Non certo attraverso il pensiero, perchè il pensiero si identifica con l'essere e non con la perfezione. Bisogna allora riconoscere che la conoscenza della perfezione è stata messa in noi da un principio esterno al pensiero ed a esso superiore, in quanto perfetto. Questo principio è Dio. Ne discende che la certezza di Dio è implicita nella certezza della nostra stessa esistenza.
Affermando che la prima realtà è dentro di noi, Cartesio continua il pensiero medioevale per il quale alla certezza dell'esistenza di Dio si arriva attraverso un scoperta interiore.
Ciò non pertanto, il Nostro dà altre due prove dell'esistenza di Dio, che si collegano al pensiero agostiniano come elaborato dalla Scolastica, in particolare da Sant'Anselmo d'Aosta. Dio esiste, perchè se riconosciamo delle perfezioni che non possediamo vuol dire che al di fuori di noi esiste qualche essere più perfetto dal quale deriviamo la conoscenza della perfezione.
Inoltre, data l'idea di un Essere perfetto ne consegue necessariamente che in essa è contenuta la idea della sua esistenza, così come dato un triangolo ne consegue necessariamente che la somma dei suoi angoli è uguale a due retti : l 'essere perfetto ed il triangolo hanno delle proprietà necessarie di cui non è possibile dubitare.
Quanto al problema del mondo, Cartesio dimostra che la sua esistenza si ricava indirettamente dal fatto che il mondo si presenta come un qualcosa che è "esteso" fuori di noi e, perciò, profondamente diverso dal pensiero che è "inesteso".
La certezza di questa estensione risiede nella constatazione che, se il mondo non esistesse, il pensiero, che è stato creato da Dio, avrebbe un' idea chiara e distinta di un'estensione inesistente e Dio ci avrebbe ingannati. In tal modo,però, Cartesio crea un dualismo tra "sostanza pensante" (res cogitans) e "sostanza estesa" (res extensa), ossia lanatura : due sostanze costitutive dell'essere che non riesce a conciliare.
Va comunque detto che a partire da Cartesio, che pur non rinuncia allo studio della natura, il "pensiero" diventa protagonista della ricerca speculativa.
La filosofia di Cartesio ebbe una forte influenza in tutto il Seicento e Settecento, determinando due grandi correnti : quella che continuò l'indirizzo da lui tracciato e quella che si oppose energicamente al suo "metodo deduttivo" cercando di applicare alla filosofia i "principi induttivi" che impregnavano il pensiero scientifico. Entrambe proiettate a superare il dualismo tra res cogitans e res extensa.
La prima di queste correnti si sviluppò in Francia, in Olanda e in Germania, dando luogo al gianseimo, all' occasionalismo, al razionalismo.
In Francia, sostenitori della dottrina cartesiana furono i seguaci del vescovo Cornelius Otto JANSEN, latinizzato GIANSENIO, il quale, vedendo nel cartesianesimo una manifestazione dell' agostinismo, gli aveva conferito una particolare impronta religiosa (2).
Il gianseismo aprì la strada a quella sorte di mistica razionale che fu l' occasionalismo, di cui fu precursore Blaise PASCAL.
Pascal accetta il metodo cartesiano e le sue affermazioni, ma rileva che non sulla ragione bisogna fondarsi, perchè, per quanto possa essere rigoroso il metodo d'indagine, essa non raggiunge mai la verità : di fronte ad una antitesi si può dimostrare ugualmente l'uno o l'altro dei termini contrapposti, a seconda degli elementi di cui ci si serve. Diversamente, la religione - più specificamente, il cristianesimo - può dare all'uomo la verità, poichè la rende attingibile con un atto di fede che trascende la ragione. In Dio ogni dualismo si risolve (3).
Con Nicola MALEBRANCHE l' occasionalismo fu portato alle estreme conseguenze: non solo i rapporti tra spirito e corpo sono regolati da Dio, ma anche tutti i rapporti tra noi e le cose e delle cose tra loro trovano in Dio la loro causa : tutto ciò che avviene è volontà di Dio e di questa volontà abbiamo innata in noi la conoscenza (4).
In Olanda, Baruch SPINOZA fa da ponte tra l' occasionalismo ed il razionalismo : non vi sono due sostanze diverse, la res cogitans e la res extensa, ma una sola sostanza, cioè Dio : "la sostanza che è in e per se stessa concepita". Essa è unica, perchè se più sostanze rispondessero a questa definizione coinciderebbero tra loro (5). La dimostrazione dell'esistenza di Dio avviene per Spinoza con l'applicazione del metodo geometrico che assicura una visione non solo razionale ma anche intuitiva unitaria della realtà che è tutta rappresentata dalla definizione della sostanza unica.
In Germania il razionalismo acquista concretezza con Goffredo Guglielmo LEIBNIZ, matematico, il quale tentò il superamento del dualismo cartesiano proponendo un "principio unico", in cui spirito e materia coincidono. Questo principio è l' energia che non è la forza fisica della natura, ma è un' energia spirituale, cioè l' energia prima che compendia in tanto l' energia pensante quanto l'energia fisica. Questa energia è costituita da infiniti centri di forza che egli, con parola presa da Giordano Bruno, chiama monadi, ossia "unità", "puri centri di attività", senza alcun rapporto tra loro, perchè "le monadi non hanno finestre". Le monadi, tuttavia, non sono tutte uguali, per cui sono gerarchicamente ordinate a seconda del grado di conoscenza o di rappresentazione che ciascuna ha di : da quelle con minor grado di rappresentazione si risale alla monade somma che è Dio, il quale ha completa conoscenza e coscienza di (6). La concezione di Leibniz era contrapposta alla tesi di Newton di un universo costituito da un moto casuale di particelle che interagiscono secondo la sola legge di gravità. Tale legge infatti secondo Leibniz era insufficiente a spiegare l'ordine nella vita dell'universo. 
Intanto, in Inghilterra si svolgeva quella corrente di netta opposizione alla filosofia cartesiana, della quale l' empirismo è diretto discendente.
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(1) Vedi Cartesio : "Discorso sul metodo".
(2) Vedi Giansenio : "Augustinus".
(3) Vedi Pascal : "Lettere provinciali"; "Pensieri sulla religione".
(4) Vedi Malebranche : "Della ricerca della verità"; "Trattato sulla morale".
(5) Vedi Spinoza : "Tractatus de intellectus emendazione".
(6) Vedi Leibniz : "Nuovi saggi sull'intendimento umano"; "Saggi di teodicea"; "Monadologia".