lunedì 4 febbraio 2008

L' UMANESIMO ED IL RINASCIMENTO

Rinnovato dal pensiero tomistico, l'aristotelismo aveva costituito un sistema nel quale si era organizzata tutta la dogmatica cattolica. Ma l' Umanesimo ed il Rinascimento, antidogmatici per eccellenza, si manifestano antiaristotelici e più propensi a raccogliere l' animismo medioevale. In realtà, questi due movimenti di pensiero - che si inseriscono l'uno nell'altro - rifiutano il dogma cattolico, non però lo spirito religioso che continua ad informarli, spingendoli verso l'ideale di un sapere assoluto attraverso il quale allacciare per sempre il contingente all'eterno. Insomma, sia l'Umanesimo che il Rinascimento, nel preparare il passaggio dal Medioevo all'Età Moderna, si fanno promotori di una mistica scientifica, ovvero di una scienza essenziale che pone l'uomo al centro del mondo e gli consente di dominarlo, senza tuttavia rifiutare il trascendente che in esso si manifesta.
Inizialmente, l' Umanesimo si volse soprattutto alle filosofie prearistoteliche. Ad esempio, Lorenzo VALLA si riporta all'epicureismo. Marsilio FICINO cerca di stabilire un collegamento tra il cristianesimo ed il platonismo o il neoplatonismo Pico DELLA MIRANDOLA tenta un accostamento tra il Platonismo e la Cabala ebraica, scienza iniziatica degli antichi ebrei.
Ed ancora, Michele DE MONTAIGNE muove da una concezione scettica dell'umanità, nella quale non è possibile trovare leggi universali, ma soltanto una continua esperienza di vita : nulla è universalmente vero, ma lo è come fatto umano, mentre Niccolò  MACHIAVELLI vede nell'uomo un fondamentale egoismo che lo spimge prima verso l'appagamento dei suoi istinti peggiori, poi verso la realizzazione dei più alti ideali.
Più articolatamente, Niccolò  CUSANO sostiene una comprensione scientificamente mistica della natura : la sensazione ci dà una moltitudine di immagini; la ragione tende a sintetizzare i dati delle sensazioni; la intelligenza, che è una facoltà superiore, unifica le diverse sintesi, tra loro in opposizione, prodotte dalla ragione. Ma l'intelligenza non può conciliare tutte le opposizioni : a questo può giungere solo Dio che è sostanzialmente conciliazione di opposti.
Più nettamente rinascimentale è l'indagine di BERNARDINO TELESIO: egli oppone al metodo deduttivo aristotelico un metodo induttivo fondato soprattutto sul processo analogico : poichè la scienza non può conoscere i fenomeni nella totalità delle loro parti, al pensiero è affidato il compito di colmare le lacune lasciate dalla scienza; il pensiero riconosce le parti che la scienza non è riuscita a conoscere impiegando l'analogia con altri fenomeni. Due principi spiegano il mondo : la materia e l'energia che nella stessa materia è insita. Anche l'anima ed il pensiero sono il risultato di queste forze. Però, l'uomo non consiste solo in esse, poichè in lui v'è una forma aggiunta (la forma superaddita), cioè un'anima infusa direttamente da Dio. Sennonchè, i rapporti della forma aggiunta con il mondo sensibile per lo stesso pensatore sono inesplicabili.
Pietro POMPONAZZI divide in modo netto le verità razionali dalle verità di fede, anche se finisce per ritenere più affidabili quelle della ragione.
Per Giordano BRUNO l'universo infinito coincide con l'infinità di Dio. L'univero è un illimitato organismo animato, occupato
da Dio in ogni sua parte; ed il pensiero non può conoscerlo, perchè pensare significa limitare. Nella sua infinità l'universo è composto da entità individuali, piu o meno perfette, le monadi, ognuna delle quali riflette in sè il tutto. Il mondo è una monade; l'universo è costitutito da infiniti mondi; Dio è la monade somma che tutto comprende. Ne discende che nella monade del Bruno l'idea platonica e la forma aristotelica diventano essenza, unità di materia e spirito.
Tommaso CAMPANELLA si riallaccia al naturalismo di Telesio ed a Sant'Agostino. Come aveva teorizzato Telesio, la natura è
un complesso animato in cui materia e spirito si fondono in un'unica essenza, ma, come aveva teorizzato Sant'Agostino, vi è una perfetta corrispondenza tra natura e pensiero, sicchè conosciamo noi stessi attraverso il pensiero e nel conoscere noi stessi scopriamo nella nostra anima tre principi che richiamano il posse, nosse e velle agostiniani : la potenza, cioè la tendenza ad affermare la nostra vita; la ragione, cioè la tendenza a conoscere noi stessi ed il mondo; l'amore, cioè la tendenza ad espanderci verso gli altri e verso Dio.
Nel Seicento un estremo tentativo per fondare una scienza della natura intesa a cogliere il mondo dei fenomeni nella sua essenza viene fatto in Inghilterra da Francesco BACONE. Con mentalità perfettamente rinascimentale egli vede la natura come un essere animato contro cui l'uomo si volge come contro un suo simile per imporle la sua volontà e dominarla. E l'uomo è in grado di farlo perchè il sapere gli permette appunto di dominare se stesso, i propri simili e la natura; perchè, con la conoscenza completa della natura e dell'animo umano egli può risalire con il metodo induttivo dagli effetti alle cause; cause che non considera puramente meccaniche, bensì essenziali, in quanto natura intima del fenomeno. Dunque, anche Bacone, pensando all'essenza del fenomeno, ovvero alla sua realtà assoluta, tende ad una scienza metafisica.
Con mentalità più moderna, Galileo GALILEI afferma invece che la scienza non può conoscere la verità assoluta delle cose :
l'attività scientifica deve essere separata dalle altre forme di speculazione. Due sono le forme di conoscenza : quella secondo autorità, fondata sulle Scritture; quella secondo ragione, fondata sullo studio sperimentale e metodico della natura. La scrittura e la natura sono infatti i due termini con cui Dio si è rivelato : la scrittura ci fa coscere i fini delle cose, lo scopo ultimo cui tende l'uomo ed il mondo; la conoscenza razionale ci fa conoscere la causalità meccanica delle cose. Base della conoscenza razionale è la matematica.
Con Galileo Galilei lo studio della natura si distacca dall'indagine filosofica; e ciò non piace alla Chiesa che non può immaginare una verità fisica separata da quella metafisica.

mercoledì 23 gennaio 2008

LA SCOLASTICA




Nel Medio Evo la Scolastica, il pensiero cristiano elaborato e studiato nelle scuole e nelle università, trionfa in tutto il mondo europeo unificato sotto Carlo Magno. La Scolastica, in principio, tende a superare il misticimo esasperato della Patristica ed a conciliarlo con il razionalismo aristotelico, affermando che la fede non è soltanto l'accettazione passiva delle verità enunciate nel Vecchio e nel Nuovo Testamento, come statuite nei Concili : essa consiste piuttosto in una forma di conoscenza intima, fondata su una intuizione immediata, che non solo ci dà la certezza dell' eterno, ma ci permette anche di ragiungere l' essenza delle cose, di conoscere il mondo fuori di noi, nella sua profonda realtà. Ed è appunto attraverso questa visione del mondo che lo spirito si eleva direttamente e con continuità dalla conoscenza delle cose alla conoscenza di Dio. Sicchè, gli universali, le essenze, i valori assoluti non trascendono gli oggetti in cui si attuano, cioè non sono in sè ante rem, come le idee di Platone, vere astrazioni mentali, ma sono immanenti, bensì esistono in quanto attuati nell'oggetto.
SANT' ANSELMO d' AOSTA (XII secolo), pur seguace del pensiero agostiniano, tende a stabilire un equilibrio tra fede e ragione : la fede dà le intuizioni prime, la ragione le dimostra e le sostiene. Gli universali sono reali in sè come idee divine; sono reali nell'oggetto, come attuazione di quelle idee; sono reali nella mente umana, come riflesso di verità assolute. Pertanto, l'esistenza di Dio è provata dall'esistenza del mondo in cui possiamo riconoscere una maggiore o minore perfezione o dignità nelle cose proprio perchè possediamo l'idea della perfezione assoluta, cioè l'idea di Dio. Quindi è la conoscenza razionale della natura che ci conduce all'esistenza di Dio attraverso un puro processo dialettico.
Più avanti (XIII secolo), SAN TOMMASO d'AQUINO nella Summa compie la impresa di mettere d'accordo la filosofia aristotelica con quella cristiana medioevale. Egli distingue i campi di azione della ragione e della fede e mostra che tra essi non v'è contrarietà : la ragione è il mezzo per conoscere il mondo naturale e la sua attività consiste nell'estrarre principi intelligibili dalle cose sensibili; la fede ci fa conoscere invece il mondo soprannaturale, cui la ragione non può arrivare: le verità conosciute dall'una e dall'altra non si contraddicono e, comunque, entrambe hanno in comune le verità fondamentali della esistenza di Dio e dell'immortalità dell'anima, conosciute a priori direttamente dalla fede ed a posteriori indirettamente dalla ragione tramite le prove che ci dà l' esperienza : infatti, l'esistenza di un movimento presuppone la esistenza di un motore che tutto muove e da niente è mosso; ogni fenomeno ha una causa che presuppone l'esistenza di una causa prima non causata.
In tal modo Tommaso sviluppa secondo la concezione cristiana il pensiero aristotelico : in ogni creatura forma e materia si implicano a vicenda, posto che nella creazione Dio ha attuato in forme particolari il suo essere assoluto e questa attuazione è avvenuta in tre modi : come pura determinazione di singole forme dell'essere, prive di materia (gli angeli); come determinazione di forme della specie umana, diverse tra loro perchè ciascuna particolarmente adatta ad informare un solo corpo (le anime); come determinazione di forme di altre specie, ma tutte uguali nella specie in cui sono attuate (esseri diversi dall'uomo in quanto privi di anima). Solo le forme che hanno informato la materia dei singoli uomini non scompaiono con lo scomparire del corpo perchè, in forza dell' attitudine che avevano ricevuto di informare quel dato corpo, conservano la loro individualità. L'anima è dunque immortale.
Ne discende che per Tommaso gli universali esistono ante rem come idee; in re come attuazione di queste idee in forme pure (gli angeli) o in forme umane (le anime) o in forme meramente materiali.
Inoltre, come aveva affermato Agostino, il male non è una realtà, ma una mancanza, un non essere. Nel suo agire l'uomo è
diretto dall'intelletto che determina la volontà secondo i principi etici che sono in lui per legge di natura. Di qui le quattro virtù naturali aristoteliche che servono a regolare i rapporti con gli uomini (sapienza, giustizia, fortezza, temperanza) e le tre virtù che servono a regolare i rapporti con Dio (fede, speranza, carità). Virtù per il cui esercizio è necessaria la grazia, ossia l'aiuto divino concesso agli uomini in misura sufficiente alla loro salvezza e soltanto a taluni di essi, particolarmente eletti, in misura superiore per elevarli a pratiche più alte.
Tuttavia, Tommaso si distacca totalmente da Aristotele nella concezione dello Stato, in quanto pone l'autorità della Chiesa
al di sopra dell'autorità statale : il Pontefice è il Re dei Re a cui tutti i sovrani devono essere soggetti come a Cristo stesso.
Il pensiero tomistico, condensato nella Summa, sebbene intriso di cristianesimo, rappresenta il trionfo della mentalità greca espressa da Aristotele : la conoscenza razionale viene indicata come l'unica capace di farci conoscere il mondo della natura.
Ora, contro questa concezione del domenicano Tommaso, l'Ordine Francescano, che insegna nei conventi e nelle università, ricollegandosi alla filosofia agostiniana si orienta in Italia e in Germania verso una speculazione più decisamente mistica
ed in Inghilterra verso speculazioni più complesse.
Credo ut intelligam, dice SAN BONAVENTURA (XIII Sec.) : "credo per capire", nel senso agostiniano di una conoscenza che dapprima si rivolge con la mente alle cose sensibili, cosiderate vestigia della divinità; poi, con l'animo a se stesso ed in sè raggiunge l' immagine di Dio; in ultimo, con l'addentrarsi nel mondo ideale ed eterno che è la similitudine di Dio medesimo.
GIOVANNI ECKART, seguendo la tendenza panteistica tedesca, che porta all'affrancamento da ogni autorità teologica, sostiene che il mondo è un continuo processo di manifestazione divina attraverso il quale Dio si rivela a se stesso.
RUGGERO BACONE, espressione del movimento francescano che si sviluppò nell'Università di Oxford (XIII Sec.), fonda il cosiddetto "agostinianismo scientifico", cioè una concezione mistica del mondo, in quanto considerato nella sua essenza, e che egli chiama la"nuova vera scienza della natura". Per Bacone vi sono tre forme di conscenza : quella secondo autorità, che trova la sua fonte nel Vecchio e Nuovo Testamento e nei dogmi della Chiesa; quella secondo ragione e quella secondo esperienza. L'autorità ci dà la verità, ma non ci dà la comprensione di essa; la ragione ci dà la comprensione, ma non ci dà la verità; la esperienza ci offre la più completa certezza. Infatti, attraverso la "esperienza esterna"o"sensoriale" (l'esperienza della natura) conosciamo la individualità delle cose; attraverso la "esperienza interna" o"mistica" (l'esperienza dell'assoluto), che è illuminata da Dio, saliamo verso la divinità. La esperienza sensoriale rappresenta quindi il primo grado dell'esperoenza mistica.
Nell'ultimo periodo (XIII secolo) la Scolastica accentua, fuori dell'Italia, la distinzione tra fede e ragione scientifica.
Per GIOVANNI DUNS SCOTO le verità superiori, come la esistenza di Dio e l'immortalità dell'anima, che Tommaso affermava comuni alla fede ed alla ragione, non sono dimostrabili in alcun modo. Eppure questa indimostrabilità è irrilevante, perchè non è l' intelletto la facoltà umana suprema, ma la volontà : poichè Dio è volontà assoluta, l'uomo nella sua più alta espressione è volontà che accetta senza bisogno di dimostrazione le verità che Dio gli ha imposto.
Per GUGLIELMO OCCAM vi sono due forme di conoscenza : la conoscenza concettuale o astratta, basata su termini
convenzionali, come i "concetti": essa ci fa conoscere i rapporti esistenti tra questi termini, stabilendo un "ordine" convenzionale nella molteplicità delle cose; la conoscenza concreta, proveniente dall' esperienza, che si rivolge alle cose nella loro realtà individuale e ci fa conoscere ciò che le cose hanno di loro proprio, quel quid che le distingue l'una dall'altra. Perciò ragione e fede vengono nettamente separate : la prima è conoscenza di rapporti o di astrazioni; la seconda è conoscenza di realtà, di cose in sè. Conseguentemente il reale non è più l' universale, ma l' individuale.
In conclusione, nell'ultimo periodo la Scolastica, attraverso il pensiero dei Francescani di Oxford, concede alla ragione una completa indipendenza dalla fede, siccome strumenti di conoscenza nettamente distinti. Con l'effetto che nei secoli successivi la ragione, liberata dai vincoli della fede, proseguirà da sola sulla strada della conoscenza, avvalendosi dei nuovi valori
acquisiti dal pensiero filosofico : l' esperienza e la individualità.

domenica 6 gennaio 2008

SANT' AGOSTINO. UN PENSIERO CREATIVO

AGOSTINO di Tagaste (354 - 430 a.C.), morto vescovo di Ippona, è il maggiore esponente della patristica. Egli offre nuove
soluzioni ai problemi nodali che, fino ad allora, avevano messo in crisi la filosofia cristiana : il problema morale del bene
e del male, il problema della creazione del mondo, il problema della conoscenza dell'uomo e di Dio.
Come spiegare la contraddizione in cui cade l'uomo il quale pur essendo ansioso di "assoluto" e di "verità" non rifugge dai desideri limitati e terreni? Agostino risponde che il bene ed il male non sono principi antagonisti, come voleva il manicheismo : infatti il male non esiste in sè, non è una realtà ontologica, ma rappresenta, nelle sue diverse forme soltanto aspetti degenerativi del bene. Così il male metafisico, inerente alla creazione ed ai limiti insiti nelle cose create : se tutte le creature fossero perfette il mondo non sarebbe più un organismo, ma una pluralità di esseri indipendenti; così il male morale, cioè la colpa : se l'uomo non potesse peccare dovrebbe fare il bene per necessità e, quindi, non avrebbe il libero arbitrio, ossia la libera volontà che Dio gli ha concesso di scegliere tra l'amore verso di lui e l'amore verso se stesso; così il male fisico, che rappresenta sempre la punizione inflitta da Dio al peccatore e che è, alla fne, senz'altro un bene in quanto serve a provare il giusto.
La soluzione del problema della creazione è strettamente collegata nel pensiero agostiniano alla soluzione del problema del tempo. Se il mondo è coetaneo a Dio in che cosa se ne distingue? La creazione non è forse un divenire che contraddice la eternità e l'mmutabilità di Dio? In effetti per Agostino il problema esiste soltano perchè si considera la creazione entro una estensione temporale che ci fa pensare ad un "prima" e ad un "dopo", ma questa impostazione è errata : il tempo non è una realtà, una categoria assoluta : basti pensare che quel tempo che definiamo passato non è più; che il futuro non è ancora; che il presente è un non senso perchè è composto da un attimo di passato e un attimo di futuro. Il tempo è perciò una semplice forma : la forma del mutamento di cui rimane traccia nel nostro animo. E' sostanzialmente un'attività psichica e, come tale, è cominciato con il cominciare del mondo. Ora, Dio non è nel tempo, ma nell'eternità e l'eternità non è un'infinita successione del tempo. Pertanto tra Dio e il mondo non si può immaginare un rapporto di prima e dopo, ma solo quello tra creatore e creatura.
Infine, nel formulare la teoria della conoscenza Agostino riconosce chiaramente i limiti della ragione. La ragione ci permette di conoscere solo i rapporti tra un oggetto e gli altri oggetti, ma non ci dà alcuna certezza sulla essenza delle cose. Ad esempio, possiamo definire il concetto di "albero" osservando ciò che hanno in comune gli alberi fra di loro e ciò che invece li distingue da altri oggetti, tuttavia il concetto così definito non ci dà la conoscenza di quello che l'albero è nella sua essenza intima. Il processo della conoscenza degli oggetti del mondo sensibile, del mondo a noi esterno, è dunque questo : i sensi ci permettono di percepire le forme esteriori e la ragione stabilisce dei rapporti tra le forme percepite e le raggruppa in concetti, ma l'essenza delle cose resta estranea a questo tipo di conoscenza.
V 'è, però, una conoscenza capace di cogliere l'essenza dell'essere ed è quella dell'uomo. Se ci proponiamo di conoscere
l'uomo ci accorgiamo che questo si identifica con noi stessi, che il pensiero che è dentro di lui è il nostro stesso pensiero,
che egli ha la nostra stessa essenza, per cui non è un oggetto diverso da me. Il che vuol dire che dell'uomo possiamo avere
una conoscenza non solo sensibile, ma anche e soprattutto diretta ed immediata del suo essere, della sua esistenza. Possiamo dubitare di ciò che dell'uomo ci danno conoscenza i sensi, ma non possiamo dubitare del suo esistere : nel momento in cui dubito di esistere esplico un pensiero, ossia mi do implicitamente una conferma che esisto. Dalla certezza del nostro essere discende la coscienza di questa certezza : essere e sapere di essere sono atti a cui tendiamo perchè vogliamo essere e sapere di essere : essere, conoscere e volere sono tre atti uguali e distinti del nostro spirito : tre atti irrazionali, tre valori che si compenetrano, e la loro compenetrazione impedisce l'applicazione di qualsiasi ragionamento dimostrativo, consistendo esso ragionamento nel passare da un termine all'altro e nel collegarli logicamente tra loro. Essere, conoscere, volere sono tre verità messe in noi da Dio stesso e solo in virtù di esse possiamo pensare l'Eterno (nell'assioma è evidente il riflesso della Verità Assoluta del religione cristiana che è una e trina : il Padre corrisponde all' essere, il Figlio al conoscere in quanto sapere assoluto, lo Spirito al volere in quanto continua volontà di realizzare il bene).
Dopo Aristotele quella di Agostino è la prima teoria della conoscenza che tenga conto del fatto nuovo portato dal Cristianesimo : v'è una conoscenza dei rapporti esteriori che proviene dai sensi e dalla ragione e v'è una conoscenza
della realtà interiore, innata, indubitabile, che ci mette in contatto con l'Essere Assoluto e senza la quale la prima sarebbe soltanto una sequela di sensazioni e di immagini astratte, ndistinguibili dal sogno, sicchè priva di ogni valore conoscitivo.
In definitiva, Agostino, lucido ragionatore, sostiene la incapacità della conoscenza razionale di raggiungere le verità essenziali e costruisce una conoscenza mistica fondata sulla intuizione del nostro intimo essere che è partecipe di Dio.
La Scolastica tenterà di gettare un ponte tra conoscenza mistica e conoscenza razionale, tra fede e ragione.



sabato 5 gennaio 2008

I CAPISALDI DEL PENSIERO CRISTIANO

Il pensiero cristiano, con la Patristica e la Scolastica informa di sè tutta la filosofia medioevale (I - VIII secolo d.C.).
In un primo momento la patristica (così denominata in quanto frutto della meditazione e della predicazione dei Padri della
Chiesa) dette vita ad un'attività strettamente apologetica e divulgativa (I - III secolo), durante la quale gli apologeti cercarono
di mostrare il primato delle nuove dottrine su quelle pagane.
Infatti, per gli apologeti greci il cristianesimo è il momento conclusivo delle filosofie precedenti di cui è continuazione e perfezionamento : il principale apporto del cristianesimo è dato dalla fede, una forma di conoscenza irrazionale, ma non in contrasto con la ragione; conoscenza che l'uomo non avrebbe potuto raggiungere senza l'illuminazione portata da Cristo (1).
Invece, per gli apologeti latini il pensiero cristiano va separato nettamente dal pensiero pagano : la verità della fede non ha nulla a che fare con la verità della ragione perchè è un'illuminazione superiore che si presenta alla ragione come un vero assurdo (credo quia absurdum) (2).
In un secondo momento (II - III secolo), la patristica, rappresentata dalla speculazione alessandrina, cercò di creare
un vero sistema filosofico : la spiritualità ellenico-orientale di questo periodo, intensamente dialettica ed imbevuta di platonismo e neoplatonismo, portò ad affrontare numerosi problemi e condusse a diverse soluzioni molto spesso considerate eretiche.
Così in ORIGENE si riscontra un profondo travaglio di conciliazione tra la filosofia greca ed i principi religiosi cristiani, specialmente per quel che riguarda la creazione, il rapporto tra Dio Padre e Cristo suo figlio, l'esistenza della materia : egli ammette la creazione, ma la considera coeterna a Dio; ammette la identità del Figlio con il Padre in quanto coeterni, pur ritenendo il Figlio subordinato al Padre; ammette la imperfezione della materia, spiegandola come effetto degenerativo della creazione primitiva e non già come opera di Dio (3).
In un terzo momento (III - V secolo), la patristica sfocia nei movimenti ereticali scaturiti principalmente dalla soluzione
di due problemi : quello cristologico (rapporto di Cristo con l'umanità) e quello trinitario (rapporto di Cristo con le
altre due persone della Trinità). Se, infatti, il verbo si è fatto uomo, la sua natura è divina o umana? Ed ancora : se la Trinità
è una sola divinità, come devono essere intese le tre persone che la costituiscono? (4)
Il punto è che per il pensiero cristiano, una volta affermata l'esistenza di una divinità che trascende la ragione e che è al di fuori del tempo e dello spazio, diventa difficile stabilire un legame tra questa divinità ed il mondo razionale, trovare un passaggio dall'una all'altro. Quindi, in un successivo momento (IV - V secolo), quando la Chiesa sentì l'esigenza di fissare in modo sicuro i principi fondamentali della religione, si sviluppò una grande attività conciliare ecumenica.
La maturità teologica e filosofica che ne derivò è in gran parte dovuta al pensiero di Sant'Agostino.
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(1) Vedi, fra tutti, Giustino : "Dialogo con Trifone giudeo"; "Apologia prima"; "Apologia seconda".
(2) Vedi, fra tutti, Tertulliano, in particolare : "Apologeticus"; " De praescriptione haereticorum"; "De carme Christi".
(3) Vedi Origene : "Contra Celsum": "De Principiis".
(4) Vedi, fra tutti, Gregorio di Nissa : "Discorso catechetico", "Sull'anima e sulla resurrezione".



venerdì 4 gennaio 2008

VERSO LA FILOSOFIA DEL CRISTIANESIMO

Con Aristotele termina il grande movimento creativo della filosofia greca. Le filosofie che seguiranno prendono la denominazione di "filosofie ellenico-romane" perchè si sviluppano, negli ultimi secoli prima dell'era volgare, nei centri di Atene e Roma : esse, rifuggendo dalle speculazioni astratte di Platone ed Aristotele, aderiscono segnatamente ad una concezione pratica e pessimistica della vita. Per gli Epicurei gli dei esistono, ma non si preoccupano delle vicende umane; la filosofia serve solo a raggiungere la felicità: la felicità consiste nel piacere (1). Per gli Stoici l'evoluzione del mondo si svolge indipendentemente dall'uomo e spesso contro di lui (2). Per gli Scettici l'uomo rimane chiuso
in se stesso, paurosamente solo, ma egli, negando qualsiasi dottrina, può conseguire la felicità con l' atarassia, la liberazione dalle passioni, la completa tranquillità dello spirito (3).
Allora, un'altra corrente di pensiero, l' Eclettismo, cerca di raccogliere dalle dottrine che precedono quel che di più consolante era stato concepito, sì da poter godere tranquillamente dei piaceri del mondo oppure da poter spezzare le barriere che separavano l'uomo da quella realtà assoluta, riconosciuta esistente, eppure irrangiungibile (4).
Nello stesso tempo, si andarono delineando delle correnti neoplatoniche il cui scopo fu quello di trovare una via di comunicazione con la divinità (GIAMBLICO). Ed ecco allora che, a differenza della divinità aristotelica (puro pensiero, entità razionale per eccellenza, verità suprema), la divinità del nuovo filone filosofico diventa attingibile con una forma di conoscenza non razionale la quale trae spunto sia dagli elementi di misticismo che si ritrovano nella filosofia di Platone - la sola che configurava una possibilità di comunicazione tra l'uomo e Dio - sia nel "credo ebraico", secondo cui Dio, sapienza assoluta, si esprime emanando da sè il pensiero, ossia il verbo, che si fa concreto attraverso suo figlio unigenito, e che si differenzia in infinite essenze, analoghe alle idee platoniche (d'altra parte, la concezione del "figlio di Dio" non richiama nella religione ebraica la figura e la funzione del Demiurgo platonico, anch'esso emanazione della divinità, sebbene a questa non legato dal vincolo di generazione?).
Il neoplatonismo culmina in PLOTINO, per il quale "Il mondo promana da Dio come la luce da una lampada". Dio, l'Uno, è una realta dinamica che genera continuamente se stessa , e il suo generarsi è al contempo un produrre il molteplice. L'uomo conosce Dio attraverso un processo che inizia con la purificazione della vita sensibile, ossia con la liberazione dalle passioni (la catarsi); che prosegue con la contemplazione di ciò che nel mondo sensibile è intellegibile per mezzo delle arti e dell'amore, nonchè con il Corsivosuperamento del ragionamento dialettico, fino a giungere all' "intuizione immediata del mondo intellegibile"; che può concludersi con l'estremo dissolversi della coscienza individuale nel gran tutto, cioè con l' estasi, un atto superiore a cui l'uomo solo eccezionalmente può giungere (6).
Su questi presupposti il cristianesimo si prepara ad affrontare il pensiero speculativo.
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(1) Vedi Epicuro : "Epistola a Meneceo", in "Vita dei filosofi" di Diogene Laerzio.
(2) Vedi Zenone di Cizio (frammenti).
(3) Vedi Pirrone di Elea nella esposizione della sua filosofia in Diogene Laerzio (op. cit.).
(4) Vedi, fra molti, Panezio di Rodi, Filone di Larissa, Varrone (frammenti).
(5) Vedi Plotino : "Enneadi".




sabato 29 dicembre 2007

ANCORA SU ARISTOTELE

Per ARISTOTELE la sostanza è il sinolo di materia e forma : la forma è la natura propria delle cose, la sua essenza; la materia
è ciò di cui una cosa è fatta, un elemento passivo strutturato dalla forma. Così la sostanza dell'uomo è materia (il corpo) e
forma (l'anima). L'anima ha tre funzioni fondamentali : la funzione vegetativa, comune a tutti gli esseri viventi, che rappresenta la potenza nutritiva e riproduttiva, quella sensitiva, che è propria degli uomini e degli animali e che comprende la sensibilità ed il movimento; quella intellettiva, che è propria degli uomini e che può compiere anche le veci delle funzioni inferiori. Ma qual è la "causa" della sostanza delle cose? La causa formale è la loro forma, ovvero la loro essenza; la causa efficiente è ciò che gli dà origine; la causa finale è lo scopo cui una cosa tende. Nella ipotesi dell'uomo, la ragione è la sua forma, ovvero la sua essenza; il padre è la causa efficiente del figlio; il diventare adulto è la causa finale del bambino (1).
Poichè le cose hanno la possibilità di assumere una certa forma, hanno pure in sè la potenza di cambiare. Con la realizzazione del cambiamento la cosa viene ad esistere, la potenza diventa atto. In questo divenire l' atto è superiore alla potenza perchè costituisce la causa, il senso, il fine di ciò che è solo in potenza (un pulcino è in potenza un gallo ed il gallo è il pulcino in atto) (2).
Ma la materia non può avere in sè la causa del proprio movimento : tutto ciò che si muove è sostanzialmente mosso da
qualcos'altro e questo "qualcosa" è a sua volta mosso da altro (la pietra è mossa dal bastone, il bastone dalla mano, la mano
dall'uomo). Eppure, alla fine di questo processo a ritroso vi deve essere un principio primo ed immobile, un Motore Primo
Immobile cui fa capo tutto il movimento : esso è Dio, cioè un atto puro, vale a dire un atto senza potenza, in quanto la potenza è la possibilità del cambiamento, mentre se Dio è immobile non può essere sottoposto a cambiamento. Dio è dunque forma pura, ossia sostanza incorporea.
Come può il Primo Motore muovere le cose restando immobile? Per Aristotele Dio non muove le cose come causa efficiente, ossia tramite impulsi, bensì muove le cose come causa finale, ossia come oggetto d'amore che attrae la materia verso di lui in un desiderio incessante di prendere "forma". Non è Dio che dà forma al mondo, ma è il mondo che aspirando a Dio si auto-ordina (3).
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(1) Vedi i libri V, VII e VIII della "Metafisica".
(2) Vedi il libro IX della "Metafisica".
(3) Vedi il libro XII della "Metafisica".

martedì 18 dicembre 2007

LA VERITA' DEI FILOSOFI : DAI PRESOCRATICI AD ARISTOTELE

La "verità" - ciò di cui siamo angosciosamente alla ricerca - è stata oggetto dell'indagine del pensiero dell'uomo orientale ed occidentale sin dal momento in cui essi si posero il probema di questo valore della vita. Ma con approcci diversi : in Oriente mediante un'esperienza interiore ed ineffabile, lungo la strada di un'iniziazione individuale, non comunicabile e trasmissibile ad altri perchè irrazionale; in Occidente attraverso la conoscenza razionale dei vari aspetti della realtà.
In Europa il pensiero speculativo, inteso come ricerca del vero e del principio delle cose, è iniziato in Grecia, anche se il probema comincia ad essere trattato nelle cosmologie mistiche dei poeti (1).
I più antichi filosofi presocratici dell'VIII e del VII secolo a.C. (di essi abbiamo testimonianza diretta attraverso vari frammenti dei loro scritti (2) ed indiretta attraverso le citazioni di scrittori posteriori) nel domandarsi quale fosse l'origine del mondo (nell'affrontare cioè il problema cosmologico) si dettero dapprima delle risposte ingenue ed elementari, concependo la materia come un di per sè vivente (ilozoismo, dal termine greco hyle, materia) e, quindi,  identificando il principio di tutte le cose nell' acqua (TALETE) o nell' aria (ANASSIMENE). Altra volte l'origine del momdo fu visto nel numero (PITAGORA e la sua Scuola, sorta a Crotone. nella Magna Grecia)) o in una sostanza primordiale, infinita e indefinita : l' àpeiron (ANASSIMANDRO).
Più tardi, nel VI secolo a.C., la concezione della materia o di un termine puramente mentale come principi originari del mondo fu superata dalla concezione dell' Essere Assoluto, uno, immutabile ed eterno (SENOFANE, PARMENIDE, ZENONE, MELISSO, della Scuola eleatica, sorta ad Elea, nella Magna Grecia). Per tali pensatori divenne però difficile spiegare come il mondo che deriva da un tale Essere sia invece molteplice, mutevole e soggetto al tempo. Questa difficoltà la dialettica greca, cioè l' arte dell'argomentare, ovvero l'arte di far derivare da alcuni principi fondamentali le conseguenze logiche del ragionamento, risolse spiegando che ciò che appare mobile nel tempo e nello spazio è immobile se considerato nella eternità della sua essenza : ad esempio, un'azione virtuosa " si svolge" e, quindi, si muove nello spazio e nel tempo, ma l'essenza della virtù che è in essa è immobile perchè è eterna.
Tuttavia, contemporaneamente, si affermò un orientamento del tutto opposto : non già la immobilità, ossia un principio trascendente, superiore al mondo sensibile, bensì il movimento è la vera realtà originaria (ERACLITO) (3), cioè un "divenire" senza fine, che scaturisce da un fuoco generatore. La legge somma della realtà è una  legge dinamica con un suo ordine ed una sua armonia, cioè il logos, ovvero la legge universale razionale, in quanto non promanante da una personalità assoluta, cioè da una divinità. Attorno all'orientamento del movimento si svilupparono varie filosofie, fra cui quella atomistica che vede l'universo costituito da infinite particelle indivisibili (gli "atomi", appunto) le quali si muovono continuamente nel vuoto dall'alto al basso e urtandosi si aggregano e si disgregano formando così i vari corpi (DEMOCRITO) : tutto è materiale, anche l' anima, e tutto è governato da forze fisiche che agiscono meccanicamente, ossia da un'energia fisica che pervade l'universo e che, immanente, lo spinge verso un continuo divenire.
Nel V secolo entrambi i cennati orientamenti vengono sottoposti a critica dai Sofisti. Se infatti tutto è in movimento, anche la verità sarà in continuo mutamento : pertanto di qualsiasi cosa potrà dirsi che è vera o falsa soltanto con riferimento all'attimo presente e relativamente alla persona che giudica (PROTAGORA). Per contro, se la verità fosse immobile essa sarebbe praticamente inesistente perchè non potrebbe esprimersi, dato che l'esprimersi sarebbe un movimento; se, poi, potesse esprimersi essa non potrebbe essere conosciuta, perchè anche il conoscere è movimento; se, infine, potesse essere conosciuta non potrebbe essere comunicata, perchè anche il comunicare è moto (GORGIA).
Il punto di arrivo  è, dunque, che una verità non esiste, ma esiste soltanto un giudizio di verità, formulato secondo l'utile individuale. Con i sofisti si affaccia il primo agnosticismo teologico
(Protagora e Gorgia) e il primo ateismo (Crizia e Prodico).
SOCRATE (3) si oppone all' utilitarismo dei sofisti : il "concetto" è la verità universale ed eterna che sta dietro il contingente.
In altri termini, vi è un valore universale che è possibile trovare togliendo dal "fenomeno" ciò che in esso ha un valore relativo e non essenziale: quel che resta è il significato concettuale del fenomeno. Quando Alcibiade gli domanda se era bene per lui diventare il Principe di Atene Socrate gli risponde che non si tratta di stabilire quello che vuol sapere Alcibiade, ma piuttosto se è bene che un uomo diventi principe di una città.
PLATONE sviluppa e perfeziona l'intuizione del concetto universale che restava in Socrate un dato relativo al pensiero umano e quindi esistente nel mondo degli uomini. Egli ritiene che vi sono due mondi : uno superiore ed uno inferiore : spirituale, immutabile ed eterno il primo; materiale, mutevole e temporaneo il secondo. Il mondo eterno è popolato da pure essenze, cioè le idee, vale a dire quegli stessi concetti socratici considerati al di fuori della mente umana, nella loro realtà assoluta. Il mondo corporeo non è altro che una imitazione del mondo delle idee : le idee sono quindi i "modelli eterni delle cose" e la imitazione avviene ad opera di una divinità creatrice che si avvale della materia secondaria, il Demiurgo. Tra le idee spirituali (ad esempio, l'Idea del Bene) e gli oggetti materiali che le imitano vi è poi un termine medio che partecipa alla pura essenza delle une ed alla pura materialità delle altre : questo termine è l' anima (4). Tutto ha un'anima, tutto ha una forza vitale che spinge la cosa ad imitare sempre più l'idea corrispondente. Il complesso di tutte le anime costituisce l'"Anima del Mondo", intelligenza diffusa nell'universo che collega il mondo corporeo a quello celeste e che nella sua
razionalità porta il ricordo delle idee eterne che ha visto nel mondo superiore (5).
ARISTOTELE accetta i due mondi fondati da Platone: quello immateriale e quello corporeo, ma invece di farne due mondi indipendenti, collegati da un semplice rapporto di imitazione, li rende necessari l'uno all'altro, sicchè nessuno dei due esiste senza l'altro : la forma è il principio immateriale, la materia quello corporeo; la forma è il principio attivo che per sussistere deve attuarsi nella materia; la materia è un principio passivo che diventa esistente solo quando in essa la forma si attua. Scindere i due principi, come fa Platone, sarebbe come precipitare entrambi nel nulla. In effetti la forma, in quanto necessità di attuazione è potenza : il passaggio dalla potenza all'attuazione è il divenire. Perciò l'universo - costituito da due mondi concentrici, l'uno celeste o sopralunare, l'altro terrestre o sublunare - è un processo continuo di attuazione della forma nella materia. Al di fuori dell'universo v'è DIO, il "motore immobile", perchè tutto muove senza muoversi : infatti, ogni movimento è la conseguenza di un continuo muoversi di ogni forma verso di lui. Dio è l'unica forma pura, sufficiente a se stessa ed in sè completa, in quanto non ha bisogno di attuarsi in alcuna materia. Dio è pensiero assoluto che pensa se stesso, quindi è "pensiero del pensiero".
Dunque, Aristotele fonda la metafisica, che definisce come la "filosofia prima", ovvero la scienza più alta, come "studio di Dio" (6).
E poichè la metafisica aristotelica sarà ripresa dai filosofi dei secoli successivi, fa d'uopo soffermarsi sul concetto di Dio che essa introduce.
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(1) Vedi Esiodo : "Teogonia".
(2) Vedi in Diels-Kranz la raccolta dei frammenti ritrovati, tr. it. di G. Giannantoni : "I presocratici. Testimonianze e
frammenti", La Terza, 1990.
(3) Socrate non ha lasciato scritti : la sua filosofia è conosciuta grazie a quanto di lui hanno riportato Senofonte nei
"Detti memorabili di Socrate", Platone nei 34 Dialoghi e 13 Lettere della "Apologia di Socrate", Aristotele nella
"Metafisica".
(4) Vedi, fra i Dialoghi di Platone il "Fedone".
(5) Vedi . fra i dialoghi di Platone, il "Menone".
(6) Vedi il Libro VI della "Metafisica", l'opera principale del filosofo, in 14 libri.